Il salvavita dell'arte

Chi ammirerà ora “Nafea Faa Ipoipo (When Will You Marry?)” il dipinto realizzato da Gauguin nel 1892 e ora venduto dalla fondazione Rudolf Staechelin Family Trust che l’aveva affidato in prestito fino ad ora insieme ad altri quadri al Kunstmuseum di Basilea? In questi giorni ci si chiede soprattutto a quale cifra sia stato venduto e chi l’abbia comprato. Voci affidabili raccolte dal “New York Times”, fanno intendere che il dipinto sarebbe stato acquistato per la somma record di 300 milioni di dollari dagli emiri del Qatar, da tempo “a caccia” di trofei artistici per il nuovo museo di Doha che già dispone di capolavori quali “I giocatori di carte” (1893) di Paul Cézanne, acquistato nel 2011 per “soli” 250 milioni di dollari dagli stessi emiri.
In Svizzera ci si chiede invece perché la vendita del dipinto di Gauguin abbia suscitato una reazione così diversa da quella che intervenne quando gli stessi proprietari vendettero due altri capolavori, pure dati in prestito al museo di Basilea, quasi 50 anni fa. Nel 1967 Staechelin pressato da “difficoltà finanziarie” (vabbè) mise infatti in vendita due quadri di Picasso. La reazione dei cittadini di Basilea fu allora molto diversa.
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Al grido di “All you need is Pablo” lanciarono una spettacolare e festosa iniziativa per convincere la recalcitrante amministrazione cittadina ad acquistare i due quadri in vendita. E riuscirono nell’intento. Dopo un’acceso dibattito referendario, i cittadini di Basilea – come ricorda con partecipe precisione sfr2, la radio pubblica svizzera-tedesca – si espressero a favore dell’acquisto dei due quadri di Picasso per la allora favolosa somma di 6 milioni di franchi. Altri 2,4 milioni vennero raccolti da privati. Entusiasmato da tanto fervore, Picasso regalò altri quattro quadri al museo cittadino. Fu così che il miracolo Picasso di Basilea («Picasso-Wunder von Basel») entrò nella storia dell’arte e della società.
Perché oggi questo miracolo non si ripete? – ha chiesto sfr2 allo storico dell’arte Benno Schubiger, Direktor der Binding-Stiftung. Le sue considerazioni sono un buon punto d’avvio per comprendere i cambiamenti di politica culturale avvenuti nel frattempo non solo in Svizzera ma in tutto il mondo. E per riflettere sulla funzione del digitale e dei social network nell’accesso e nel godimento dell’arte.
Come osserva Schubiger, manca nel caso di Gauguin il glamour dell’artista d’avanguardia ancora in vita, com’era allora Picasso.Inoltre le occasioni artistiche e culturali in genere si sono in Svizzera e in ogni altro paese moltiplicate e mobilizzate con costanti tour di massa delle opere d’arte e degli artisti. “Il nostro mondo visuale dalla vita breve ha bisogno di varietà” dice Schubiger. Ma mi sembra vi sia anche altro. Innanzitutto ci si può rallegrare che anche cittadini di altre nazioni e culture possano conoscere ed apprezzare direttamente Gauguin, un’esportazione di democrazia senz’altro più pacifica e probabilmente anche molto più efficace di quella armata. Inoltre, grazie a Internet, il digitale e i social media l’accesso all’arte e il suo godimento sono divenuti molto più facili e popolari. D’altro canto anche la classica visita delle opere d’arte al museo ha ricevuto nuovi contorni e significati divenendo occasione per eventi Selfie che hanno talvolta più a che fare con la psico(pato)logia che non con il godimento dell’arte. Vi sono al tempo stesso esempi di virtuosa e preziosa interazione museo-social media come ad es. Il Rijsk museo di Amsterdam e tantissimi altri dimostrano. Il valore dell’arte come terapia, cura, salvavita (@Artemisi_a) non è più convinzione e soprattutto possibilità di élite ma si sta diffondendo ad ogni cittadino/user. Decisiva rimane tuttavia la riflessione individuale e collettiva sulla sua – ritualizzata – forma di godimento. Quale può essere la nuova cornice, reframing, dell’arte, lontana da quelle polverosa dei vecchi musei ma anche da quelle troppo disinvolte e volgari della commercializzazione di massa? Lo scambio, la condivisione, l’approfondimento e la partecipazione emotiva ed intellettiva ad opere d’arte siano esse letterarie, visive o musicali sui social network mi sembrano un buon avvio. Progetti come quelli di Twitteratura e tanti altri possono segnare un cambiamento per una partecipazione più accessibile, immediata, anche scherzosa ma non per questo superficiale e banalizzante ad un patrimonio artistico che è di tutti noi e soprattutto dentro ognuno di noi. Prendersene cura non richiede (più) necessariamente di scendere in strada, piuttosto nell’animo.