La sicurezza "ontologica" di una zampa

“Un cane solo è un cane morto. E quando Willy avesse esalato l’ultimo respiro non gli restava altra prospettiva che la propria fine imminente” Tali sono le preoccupazioni di Mr. Bones, il cane di Willy. Di fronte all’imminente fine del proprio padrone, schizofrenico, alcolizzato, e ormai sfinito dalla polmonite Mr. Bones diviene preda dell’ansia, anzi di un “puro terrore ontologico. Sottraendo Willy al mondo era probabile che il mondo stesso cessasse di esistere.”
Mi sovvenivano queste parole del bel romanzo Timbuctú di Paul Auster leggendo il bello studio di Helen Brooks sull’influenza degli animali sulla vita quotidiana di persone affette da disturbi psichici cronici.
Quelle che vale per il cane vale reciprocamente anche per il suo padrone affetto da disturbi psichici. Di fronte alla paura di essere travolto dalla malattia, escluso dalla società e privato del benché minimo accesso al mondo, la persona affetta da disturbi psichici gravi trova negli animali la “sicurezza ontologica” di cui la malattia lo priva, quel senso cioè di ordine e continuità che congiunti alla fiducia in sé stessi e nel futuro danno senso alla nostra vita. Ma gli animali consentono anche ai pazienti (cioè a tutti noi) di sviluppare e migliorare la relazione con sé stessi e i propri/nostri simili.
Già precedenti studi avevano dimostrato l’efficacia degli animali nel lenire i disturbi psichici.

“In terms of mental health, the value of the broader role of animals is demonstrated in Animal Assisted Therapy (AAT), which has been found to be effective in psychiatric inpatient populations and residential care settings”

In particolare

Studies have examined the benefits of owning and caring for pets demonstrating reduction in stress, improved quality of life improved physical health increased social interaction and reduced loneliness .

Lo studio attuale pubblicato il 6 dicembre scorso sull’open access journal BMC Psychiatry,  si basa su interviste semi-strutturate a 54 pazienti psichiatrici gravi, seguiti ambulatorialmente in diverse zone dell’Inghilterra e è stato centrato proprio sulla percezione soggettiva dei pazienti in relazione ai loro animali.
Il 60% dei pazienti includono i loro animali all’interno del cerchio più intimo delle loro relazioni sociali e il 20% nel secondo.
Molti pazienti riferiscono inoltre che i loro animali costituisco un’importante ed efficace distrazione dai sintomi della malattia, ad es. le allucinazioni acustiche (voci) inquietanti della schizofrenia o dai pensieri suicidali della depressione ma anche da ossessioni ed ansie di altro tipo.
Possedere un animale sviluppa ed accresce il senso di responsabilità dei pazienti, poco inclini a curare il proprio benessere ma disponibili a fare tutto ciò che è necessario per far star bene i loro amici a quattro/due zampe. Ciò migliora a sua volta l’auto stima dei pazienti stessi, che sono inoltre indotti ad avere una vita sociale più attiva ed entrano più facilmente in contatto con le altre persone. Gli animali rendono più spontanee le interazioni e contribuiscono anche a ridurre stigma e pregiudizi nei confronti dei pazienti.
Gli animali sentono anche il malessere dei loro padroni ammalati, rimangono con loro quando ne hanno maggiormente bisogno, anche quando parenti e professionisti non hanno tempo, capacità, voglia. Cani, gatti, criceti, canarini non hanno pregiudizi, non pongono domande indiscrete e non chiedono ricompense interessate. Aiutano quando possono e si lasciano aiutare quando ne hanno bisogno. Con loro si possono davvero dividere gioie e dolori, bisogni e speranze. Paradossalmente (?) è con le altre specie che riusciamo davvero a vivere, senza paura, quella reciprocità di affetti e di vicinanza, che desideriamo dai nostri simili.

“When [the dog] comes and sits up beside you on a night, it’s different, you know, like, he needs me as much as I need him.”

 
Foto: Pasquale Castigliego (Thierry)
Suggerimento musicale: G. Gershwin, Walking the dog