“Perché preferirei stare qui
Con tutti i pazzi
Piuttosto che morire con gli uomini tristi che vagano liberi”
Così cantava il grande David Bowie. Oggi per fortuna le cose sono (un po’) cambiate e con loro (timidamente) anche l’immagine della follia. Lo pensavo accogliendo con piacere l’invito di mio figlio a guardare con lui una serie televisiva, il cui protagonista è un neuro-scienziato. Sto parlando naturalmente del Dr. Pierce, il protagonista di Perception di cui ho appunto visto la puntata Mittente (tit. orig. Cipher). Lo stralunato e poco gentile Dr. Pierce decifra brillantemente un messaggio in codice contenuto in un articolo di giornale, riesce genialmente a interrogare la vittima di un avvelenamento, finita in coma, tramite rmn funzionale osservando quali aree cerebrali si attivano nel paziente di fronte alle sue domande, consegna infine alla giustizia il colpevole esponendosi al rischio di venir ucciso e nell’esporre ai suoi studenti il caso fa anche la morale (neuroscientifica) della favola
Chi abbia avuto la pazienza di leggere fino a questo punto potrebbe immaginare che il brillante neuro-scienziato sia anche un paziente affetto dal più grave dei disturbi psichici? Il Dr. Pierce è infatti uno schizofrenico, che nel bel mezzo dell’indagine parla da solo o meglio con le sue allucinazioni: un militare che con humor inglese gli suggerisce idee preziose per risolvere enigmi e un’avvenente signora che nella maggior parte dei casi lo rassicura. Insomma uno schizofrenico vagamente ispirato al modello dello splendido Beautiful Mind, che ha rivelato a tutti che anche uno schizofrenico può essere un premio Nobel, come John Nash. “Ma sono proprio così gli schizofrenici?” mi ha chiesto mio figlio alla fine della puntata. Gli ho risposto che i miei pazienti affetti da schizofrenia sarebbero probabilmente molto contenti di avere delle allucinazioni visive (“visioni”) e auditive (“le voci”) così educate, utili e preziose. Loro sono invece angosciati da visioni orrifiche, perseguitati da voci che li insultano in modo ignominioso, li deridono, commentano per lo più negativamente le loro azioni o addirittura ordinano loro di compierne alcune e di ometterne altre, facendoli sentire burattini nelle mani di forze che gestiscono i loro pensieri e le loro azioni. Ma anche i tentativi istituzionali di trattare e curare gli schizofrenici, i matti per antonomasia, hanno fatto di loro, fino ad un passato non troppo lontano, impotenti oggetti del “sorvegliare e punire” (Foucault) istituzionale, con internamenti disumani e terapie inefficaci quanto pericolose e/o dannose. Di analoghe anche se più moderne privazioni di libertà parlava appunto All The Madman (1970) il brano che David Bowie aveva dedicato al fratello schizofrenico, morto successivamente suicida. Proprio il fratello, Terry, aveva fatto conoscere a David, Jack Kerouac che dichiarava “le uniche persone che esistono per me sono i pazzi,…quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli».
La metafora del fuoco ha accompagnato, con la sua ambivalenza di ispirazione e distruzione, e anche di idealizzazione e demonizzazione, la follia dall’antichità ad oggi: dalla scintilla di divina follia platonica al saggio sulla schizofrenia recentemente pubblicato da uno dei massimi teorici della psicanalisi Chrisopher Bollas “When the sun burst. The enigma of schizophrenia”. Nei versi di Hölderlin, uno dei più grandi scrittori del romanticismo tedesco, schizofrenico, ricorre spesso l’immagine del pericolo di folgorazione cui può incorrere l’uomo alla ricerca della divinità. Progressivamente nel corso della sua vita, la folgore, da metafora, diviene vissuto sconvolgente (“come dalla folgore colpite ci tremarono le ossa”) e infine esperienza personale insopportabile perché “solo di rado l’uomo sopporta la pienezza divina”. Bruciato da quella folgore, Hölderlin si ritira dalla società e conduce gli ultimi anni della sua vita in una sorta di appartamento-protetto ante litteram sul Neckar amorevolmente assistito da un falegname e dalla sua famiglia, firmando le sue ultime evanescenti poesie come Scardanelli.
Il grande filosofo e psichiatra Jaspers, all’inizio del secolo scorso, nel suo Strindberg e Van Gogh – tradotto in italiano nel lombrisiano genio e follia (dilemma che vale anche per la traduzione) – parla al riguardo di “un vivere in estrema vicinanza con l’assoluto”. E prosegue “sembra che nella vita di queste persone si produca un’illuminazione fuggevole, che suscita l’orrore e la felicità e che poi affonda nello stadio finale… lasciando solo reminiscenze”.
Ora Bollas, freudianamente più sobrio, parla di un guasto che determina la perdita della storicità, della capacità cioè di trasformare il passato in narrativa. Ne conseguono, scrive:
The eradication of one’s history, the invention of a personal mythology, and communion with the thingness of the world.
I neurobiologi sono dal canto loro ormai in grado di evidenziare le alterazioni cerebrali a carico della dopamina e soprattutto del glutammato che stanno alla base dei molteplici sintomi schizofrenici.
Questi e moltissimi altri interessanti tentativi di spiegazione sono doverosi e importanti passi nel tentativo di comprendere e curare la schizofrenia ed è auspicabile possano presto portare ad un’ipotesi interpretativa convergente. Tuttavia il rischio di rimanere intrappolati in questi schemi teorici – ognuno nei propri, neurobiologici o psicoanalitici che siano – come i pazienti lo sono nei loro vissuti deliranti, di cosificarci e cosificarli è reale.
Anche per questo mi sembra quanto mai attuale e profondo l’invito che Borgna fa a tutti noi (in primis noi psichiatri e psicoterapeuti) ad ascoltare «Parlarsi, ascoltare la sofferenza, condividerla, non pretendere di risolvere ogni problema legato alla malattia» proprio come prima (oggi quasi paradossale) chiave per aprire le porte della malattia. Ascoltare i pazienti e le loro storie ma anche, come fa nei suoi libri Borgna, gli scrittori e i loro stravaganti, disturbati, affascinanti personaggi che ci consentono di entrare, oltre che nei paesaggi del nostro animo, anche, almeno per un momento, in quelli delle persone affette da schizofrenia. Come Nathaniel, il protagonista de L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann, citato da Freud come simbolo del perturbante, perseguitato dal rimosso che ritorna. Medardo, il protagonista de Gli Elisir del diavolo ancora di E.T.A Hoffmann, angosciato dal suo doppio, nell’angoscioso tentativo di costruire il suo io. Nicole, “l’uccellino dalle ali spezzate” l’instabile protagonista di Tenera è la notte di Scott Fitzgerald, oscillante tra una sensibilità da far male e l’incapacità di “mettere due e due insieme”. Willy G. Christmas, il personaggio di Timbuctù di Paul Auster, convinto di essere Babbo Natale e di riuscire a far leggere il proprio cane Mr.Bones. Il Dr Pierce…
Stare insieme con tutti i pazzi che vagano liberi, dentro e fuori di noi
Suggerimento Musicals David Bowie, All the Madmen