Dove si trova il circuito dell’odio? Se lo chiedo a Google map mi dice che sta all’University college di Londra, che, pur con tutte le immaginabili rivalità tra docenti, non credo meriti davvero tale cattiva reputazione. L’equivoco è però significativo: Google map, come tutti noi, proietta all’esterno qualcosa che è dentro di noi. All’ University college di Londra lavora infatti Semir Zeki il neurobiologo inglese che, con altri colleghi, ha contribuito ad individuare il circuito dell’odio nel nostro cervello, dopo aver già splendidamente illustrato le basi neurobiologiche dell’amore materno e di quello romantico La ricerca di Zeki è invero datata (2008) ma non per questo meno interessante. Tra l’altro uno studio più recente (2013) vi fa proprio riferimento evidenziando che nella depressione il circuito dell’odio è “sganciato” (dal controllo cognitivo) il che potrebbe spiegare perché i pazienti depressi fanno così fatica a controllare sentimenti di ripugnanza (e più in generale negativi) verso se stessi e gli altri:
a potential hypothesis is that the functional uncoupling in this circuit may be contributing to impaired cognitive control over pervasive internal feelings of self-loathing or hatred toward others and/or external circumstances
Ma torniamo all’odio che, a differenza dell’amore può essere rivolto non solo verso i singoli individui ma anche verso un gruppo etnico o un’intera società. Zeki e i suoi colleghi hanno però preso in considerazione nella loro ricerca solo l’odio rivolto verso i singoli. Hanno reclutato 17 soggetti normali (insomma non più anormali del solito) e hanno eseguito una fMRI del loro cervello mentre i soggetti guardavano la faccia di persone che odiavano fortemente (ex-amanti, rivali sul lavoro e in un solo caso un personaggio pubblico) e poi quella di conoscenti verso cui nutrivano sentimenti neutri. Il grado d’odio dei soggetti è stato valutato con la Passionate Hate Scale (PHS) una scala di valutazione per molti versi simile a quella Passionate Love Scale usata per misurare l’intensità della passione amorosa. (la prima scala ideale per Capuleti e Montecchi, la seconda per i loro figli, Giulietta e Romeo).
Lo studio ha dimostrato che nel nostro cervello vi è un unico ed esclusivo pattern di attività relativo all’odio, distinto da quello di altre emozioni pur correlate ad esso quali paura, angoscia, pericolo, aggressività. Tale circuito dell’odio comprende componenti che generano il comportamento aggressivo e altre che lo traducono in azioni motorie. Il putamen destro – implicato anche nella percezione di disgusto, disprezzo e paura – sembra importante per generare l’impulso motorio. L’insula è implicata nella risposta a stimoli sensoriali stressanti di diverso genere, sia di odio che di amore. La corteccia premotoria viene attivata dalla vista della persona odiata proprio perché implicata nella programmazione e nell’esecuzione del movimento in vista probabilmente di una reazione di attacco o fuga. Il polo frontale è coinvolto verosimilmente per la sua capacità di prevedere le azioni dell’altro. Ecco la suggestiva immagine dell’attivazione complessiva. Si è inoltre visto che quanto maggiore è il grado d’odio provato dai soggetti tanto maggiore è l’attivazione di tre aree (l’insula destra, la corteccia premotoria destra e il giro fronto-mediale destro).
Ancora più interessante però il fatto che il circuito dell’odio comprenda due aree (il putamen destro e l’insula) che sono attive anche nell’amore romantico. Ma non si può proprio dire che questa scoperta ci colga di sorpresa. Tutti abbiamo conosciuto almeno una volta il subitaneo o progressivo trascolorare dell’amore nell’odio, l’insopportabile mescolanza di questi due opposti ma altrettanto irresistibili sentimenti. Catullo la scolpisce così
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
(Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento).
Cosa aggiungere alla potenza di questi versi?
Zeki si limita dal canto suo a concludere un po’ lapalissianamente che l’attivazione delle stesse due aree (insula e putamen destro) nell’odio e nell’amore “may account for why love and hate are so closely linked to each other in life.”
Balint, uno psicanalista un po’ dimenticato, dalle intuizioni geniali (e talvolta strampalate) aveva a suo tempo (1951) formulato sull’odio riflessioni al tempo stesso illuminanti e molto tenere, se posso usare questo aggettivo per definire una teoria psicanalitica.
Nel capitolo “amore e odio” de “L’amore primario” scrive
“Secondo me l’odio è l’ultimo residuo, il rifiuto e la difesa contro l’amore oggettuale primitivo (o il conseguente amore arcaico).”
E subito spiega “Ciò significa che noi odiamo le persone -anche se queste sono molto importanti ai nostri occhi- che non ci amano, e rifiutano, come partner, di collaborare malgrado i nostri sforzi per guadagnarci il loro affetto. Cioè evoca in noi le pene più amare, sofferenze e angosce del passato, e ci difendiamo contro il loro ritorno innalzando le barriere dell’odio, negando a noi stessi il bisogno di questa gente e la nostra dipendenza da loro. A modo nostro noi vogliamo confermare a noi stessi che questa gente -benché ci stia a cuore- è cattiva; che non dipendiamo più dall’amore di tutte le persone che ci interessano e possiamo fare a meno dell’amore di quelle che – tra loro – sono le più cattive.”
Non è certo un’intuizione originalissima, è già presente in Freud e in chissà quanti altri prima di lui, ma il modo “comprensivo” in cui la sviluppa Balint credo davvero possa aiutarci a capire “come mai l’amore può trasformarsi così facilmente in odio e perché sia così difficile che quest’ultimo si trasformi nell’amore.”
Vivaldi L’odio vinto dalla costanza http://youtu.be/cChJrKH_1Kc