“Sono riuscita a comprare un paio di calzoni sabato scorso” mi dice, per una volta sorridente, Fiorenza, una donna sulla trentina, che in piena estate gira in pullover o addirittura in giaccone (imbottito), non sopportando di sentirsi esposta allo sguardo altrui. Le sorrido con un sorriso che mi viene dal cuore e che vorrei far durare il più a lungo possibile sulle mie labbra perché so quanta sofferenza e quanto tempo le è costato arrivare a quel traguardo, per la maggior parte di noi così banale. Una sofferenza che grava anche sul nostro rapporto, fatto di spigolose resistenze e di millimetrici avvicinamenti. “La sua strategia le è costata fatica ma ha funzionato bene” commento con ovvietà, aggiungendo calorosamente che che mi fa molto piacere. Sento per un momento sciogliersi l’urticante gelo che attanaglia questa giovane donna, inghiottita in un mondo in cui nulla va bene e nessun cambiamento è possibile. Accetta, per una volta, la mia partecipazione, accoglie, senza proteste, la mia gioia sincera e spero, attraverso questa, la sua, che ha da tempo bandito da ogni rapporto e riservato ad un mondo virtuale a me inaccessibile. Per me, e spero anche per Fiorenza, è accaduto in quel momento un flash, per usare l’espressione di Balint. Un momento cioè di reciproca improvvisa, intensa, comprensione, come appunto quella di un’illuminazione improvvisa. La mia è naturalmente una sensazione, che posso esprimere con metafore, aggettivi più o meno calzanti e poetici, ma sempre in termini qualitativi. È, per usare i concetti di un bellissimo post di Francesca Memini, ricerca qualitativa che non si oppone ma può invece integrare quella quantitativa. (Anche) su questa geniale intuizione balintiana del flash e di tuning tra medico e paziente, Stern ha sviluppato la sua teoria della sintonizzazione affettiva e ha cercato di capire come avvengano i cambiamenti in psicoterapia. Il processo di cambiamento dipenderebbe secondo lui proprio da particolari momenti, carichi di significato emotivo, i momenti-ora (now-moments) che si realizzano non grazie alle parole ma attraverso “micro processi non verbali, ineffabili”, insomma emozioni condivise, che generano un momento di conoscenza implicita. Come quelli che avvengono nel rapporto tra madre e bambino, in cui decisivo non è il contenuto ma il tono emotivo dello scambio. È il famoso tono che fa la musica. Proprio momenti di incontro altamente emotivo (moment of meeting) tra paziente e terapeuta porterebbero a veri e propri salti nella relazione tra i due. In questi attimi, che rimangono a lungo impressi nella memoria di entrambi, paziente e terapeuta riuscirebbero improvvisamente a capirsi implicitamente molto di più, acquistando poi consapevolezza della loro migliorata conoscenza. Diventerebbero cioè anche “consapevoli di essere consapevoli”. Tali salti relazionali, impliciti e poi consapevoli, starebbero, secondo Stern, alla base del cambiamento nel percorso terapeutico. Schore ha poi ripreso ed approfondito il tema, individuando nella comunicazione tra gli emisferi destri di madre e bambino e di paziente e terapeuta il substrato biologico di questi scambi altamente emozionali in grado di attivare processi di cambiamento. In questi “momenti affettivi intensi” avverrebbe (per Beebe e Lachmann) una comunicazione tra l’inconscio del terapeuta e quello del paziente talmente ravvicinata ed efficace da indurre un cambiamento.
Se queste possono apparire le (più o meno affascinanti) ma poco dimostrabili ipotesi di una medicina qualitativa, di una psichiatria al (difficile) confine tra scienze umane e scienze naturali, negli ultimi anni sono arrivate dalle neuro scienze anche le “prove” quantitative. L’importanza della sincronia affettiva tra terapeuta e paziente, che ricalca quella tra madre-bambino, è stata dimostrata anche con parametri fisiologici. È stata infatti riscontrata una concordanza tra paziente e terapeuta nell’andamento della frequenza cardiaca quasi che i loro cuori battano – con metafora fin troppo romantica – all’unisono. Pure simile diviene il loro grado di conduttanza cutanea (la resistenza cioè che la pelle oppone al passaggio di corrente, un parametro che si utilizza anche per misurare lo stress). Ma è stata dimostrata anche una sincronia vocale tra paziente e terapeuta. Si è potuto così constatare che sedute di psicoterapia caratterizzate da valori elevati di sincronia non verbale (appunto di sincronia vocale, battito cardiaco o di conduttanza cutanea) sono correlate con un’effettiva riduzione dei sintomi. A dire che la vicinanza tra paziente e terapeuta non è solo di testa, ma (soprattutto) intessuta di analoghe emozioni, vissuta fisicamente, “incarnata“. L’analogia tra la regolazione affettiva della coppia madre-bambino e di quella terapeuta-paziente, suggerita fin dai tempi di Freud dall’approccio psicanalitico alla psichiatria, appare dunque confermata e si è rivelata decisiva ai fini di comprendere e spiegare l’efficacia della psicoterapia. L’ennesimo caso in cui intuizioni e/o riflessioni delle scienze umane hanno anticipato ed integrato scoperte delle scienze naturali (e viceversa) a tutto vantaggio di (noi) pazienti. È tempo ormai di una maggior sincronia anche tra scienze umane e naturali, che sono poi fatte da uomini e donne, dai loro cuori oltre che dalle loro teste. Intanto Fiorenza è alla ricerca di un nuovo golf leggero per l’estate, forse con un briciolo di fiducia in più.
Suggerimento musicale: Händel, Io t’abbraccio
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