Perdere fa male. Ai rigori, ai tempi supplementari o regolamentari. Perdere quando altri giocano (per noi) dispiace già tanto, figuriamoci quando siamo noi direttamente a perdere, a scuola, al lavoro, con gli amici, in famiglia. Per non parlare dell’amore. Chi di noi vorrebbe essere il perdente, quello che non ottiene l’oggetto dei propri desideri? indipendentemente dal fatto che tale oggetto possa essere una partita, uno scherzo riuscito, una soddisfazione meritata, il successo, l’affetto, l’amore di una persona. Perché perdere, non farcela, significa essere escluso dal gruppo di quelli che ce l’hanno fatta ed essere privati del piacere che deriva dal mutevole e tutt’altro che razionale oggetto dei nostri desideri. Si potrebbe anzi più che legittimamente domandarsi se sappiamo quello che vogliamo e addirittura se vogliamo davvero quello che diciamo (e siamo convinti) di volere. Le risposte della psicanalisi e delle neuroscienze non sono proprio rassicuranti al riguardo. Secondo André Green oscilliamo tra voler ottenere e non volere ottenere quello che diciamo di volere. Ma è già un altro tema.
Fermiamoci per un momento all’esperienza del non farcela. Ci aiuta a riflettervi uno splendido libro di Phillips, Missing out, non ancora tradotto in italiano (mentre è stato già tradotto il non meno affascinante Elogio della gentilezza). Possiamo anche non sapere esattamente quello che ci manca. Ma tutti facciamo l’esperienza che qualcosa ci sfugge, che non riusciamo ad afferrarlo. Anzi questa mancanza, questa esperienza di fallimento è costitutiva della nostra vita. E precede quella di farcela.
Our frustration comes before, is the precondition, for our satisfaction. Not getting it precedes getting it; it links us to our losses, and might make us wonder what the early all to literal experiences of not getting it might have been like
Esiste infatti anche un piacere nel non farcela (ad esempio sentire da bambini le voci degli adulti senza capirne il significato) ma questo piacere, ci dice Phillipps, viene fin troppo rapidamente dimenticato. E non sempre farcela, ottenere quello che pensiamo di volere, è un piacere. Perché ad esempio capire le parole di quelli che parlano con noi può ferirci o essere un involontario assenso alla loro ostilità, o addirittura malvagità verso altri innocenti che noi non abbiamo il coraggio di difendere. Quante volte per ottenere quello che vogliamo taciamo, anche involontariamente, per paura di perdere l’appoggio di chi pensiamo possa aiutarci ad ottenerlo? Ma questo non ci succede solo da adulti. L’abbiamo imparato da bambini. Adattarci ai desideri di chi si prende cura di noi per non perdere il suo affetto e la sua protezione è la prima esperienza che facciamo nelle relazioni con gli altri.
What we get, fundamentally, is what the (essential) other needs us to be; this is where we start from. Getting it as an estranging collusion.
Non farcela, non ottenere l’affetto, il riconoscimento, il consenso, il sostegno dell’altro, degli altri da cui dipendiamo è il primo dramma della nostra vita ma è anche la prima esperienza formativa della nostra autonomia ed individualità, ed Eva potrebbe forse insegnarci qualcosa di molto importante al riguardo. Il costo è però quello dell’angoscia di perdere tutto (tutto l’affetto e la presenza stessa della persona da cui dipendiamo) e di una tremenda umiliazione. Proprio il terrore di tale umiliazione e di tale possibile perdita ci fa capire, scrive Phillips, quanto sia tirannico – nel linguaggio psicanalitico superegoico – l’imperativo che domina la nostra vita: devi farcela
“You must get it” (you must get it in order to qualify as a member of our group).
Come sarebbe un mondo senza questo imperativo si chiede Phillipps ? Un mondo senza bisogno di umiliazione, questa la sua confortante e ad un tempo tragica riposta
We need to imagine would be like in which this command had been dropped, a life in which there is nothing to get, because what went on between people, what people wanted from each other couldn’t possibly phrased in that way. Our lives would not be about getting the joke or the point. Or, to put it slightly differently, there would be other pleasures than the pleasures of humiliation