“Leave the door open for the unknown, the door into the dark. That’s where the most important things come from, where you yourself come from, and where you will go.” Così scrive Rebecca Solnit, nel suo “A field guide to getting lost” – segnalato come tanti altri nuovi e vecchi libri preziosi dal blog di Maria Popova
Credo che nulla sia più adatto all’avvio dell’anno nuovo e nulla sia al tempo stesso più difficile. Perché non si tratta (tanto/solo) di dar corso ai buoni propositi che giacciono impolverati sul nostro comodino in attesa di realizzazione ma di aprirsi a un nuovo che non conosciamo e che ci trasforma in un modo altrettanto sconosciuto
The things we want are transformative, and we don’t know or only think we know what is on the other side of that transformation. Love, wisdom, grace, inspiration — how do you go about finding these things that are in some ways about extending the boundaries of the self into unknown territory, about becoming someone else? scrive ancora la Solnit.
Non troviamo di fronte a noi una segnalazione analogica o digitale ad indicarci la direzione e tanto meno una strada da imboccare. Quello che ci serve è piuttosto un modo di perdersi, non ignorante né banale, come quello proposto dal filosofo Walter Benjamin
Not to find one’s way in a city may well be uninteresting and banal. It requires ignorance – nothing more. But to lose oneself in a city – as one loses oneself in a forest – that calls for quite a different schooling.
Un modo di perdersi dunque che comporta la capacità di essere pienamente presenti a sé stessi e di rimanere in quella condizione di incertezza e di mistero descritta anche da Edgar Allan Poe, pure citato dalla Solnit, nel suo concetto di imprevisto
How do you calculate upon the unforeseen? It seems to be an art of recognizing the role of the unforeseen, of keeping your balance amid surprises, of collaborating with chance, of recognizing that there are some essential mysteries in the world and thereby a limit to calculation, to plan, to control. To calculate on the unforeseen is perhaps exactly the paradoxical operation that life most requires of us
Ciò è possibile solo a condizione di non pianificare con progetti tanto razionali quanto inflessibili l’imprevisto rendendolo impossibile. Ma richiede anche la nostra fiducia in una concreta possibilità di cambiamento futuro. Quello che distingue infatti le persone fiduciose da quelle diffidenti è proprio – racconta il bellissimo filmato “why you can change the world” suggerito dal filosofo Alain de Botton – la convinzione che la storia sia un processo in corso o invece ormai concluso. Anche nello spento pomeriggio invernale della più sperduta chiesa inglese, come scrive T. S. Eliot nei suoi “Quattro quartetti”, la storia è ora
So, while the light fails On a winter’s afternoon, in a secluded chapel History is now and England.
Anche nelle nostre più malinconiche serate invernali, in cui deleghiamo a Internet, Social Media, alla tecnologia, ai Robot prossimi venturi di rimuovere la noia, la tristezza, l’impotenza che sono dentro di noi, la storia si compie e noi possiamo – impercettibilmente – cambiarla.
The world is being made and remade at every instant. And therefore any one of us has a theoretical chance of being an agent in history, on a big or small scale. It is open to our own times to build a new city as beautiful as Venice, to change ideas as radically as the Renaissance, to start an intellectual movement as resounding as Buddhism.
Ciascuno di noi può cambiare un po’ la storia, cercando, trovando e, nel rispetto reciproco, compiendo almeno un po’ di sé stesso, riscattando faticosamente dalla necessità la propria (limitata e consapevole) libertà. Tutti possiamo farlo liberandoci dalla zavorra di una tradizione (personale, familiare, collettiva) che ci sembra immodificabile e non lasciandoci travolgere dalla paura di un futuro minacciato da apocalissi scientifiche e Terminator
Al contrario l’intelligenza artificiale può farci riflettere sulla nostra natura ” I suspect that AI will help us identify the irreproducible, strictly human elements of our existence, and make us realize that we are exceptional only insofar as we are successfully dysfunctional” ci incoraggia, non ingenuamente, il filosofo Luciano Floridi
L’evoluzione, naturale e culturale, ci conferma inequivocabilmente che tutto è in trasformazione, anche se oltre la porta che si apre sul futuro rimane il buio. Possiamo aspettare davanti alla porta, come nella novella kafkiana “Davanti alla legge”, fare conti (razionalistici/moralistici/rassicuranti) senza l’oste dell’imprevisto o aprirci consapevolmente al buio dell’incognito e dell’inconscio (e certamente tante altre cose ancora…)
In ogni caso, come conclude, meno scetticamente English del solito, il video citato
“We should be confident, even at sunset on winter afternoons, of our power to join the stream of history – and, however modestly, change its course”
Immagine “Ulysses” Journey Was Far From Home. M.O. McCarthy, “Carte du Monde d’homers” 1849, New York Public Library
Suggerimento musicale: G. F. Händel, Alcina, “Oh Dei! Quivi non scorgo alcun sentiero”