“Tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un giovane poeta già famoso, feci una passeggiata in un paesaggio estivo in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi senza però gioirne. Lo disturbava il pensiero che tutta quella bellezza fosse destinata a sfiorire… ”
Così comincia Caducità, un testo breve, facilmente accessibile ma non per questo meno profondo di Freud, scritto durante la prima guerra mondiale, nel 1915. Accanto alla caducità della bellezza naturale ed umana il tema è quello del lutto, meglio dell’estrema difficoltà che noi umani abbiamo ad affrontarlo e superarlo. Poco dopo Freud approfondirà il tema in Lutto e Melanconia (1917) approdando alla nota geniale distinzione tra il lavoro del lutto, che ci consente di prendere sia pur faticosamente congedo dall’oggetto d’amore perso e la melanconia in cui invece l’oggetto d’amore perduto tiene in scacco noi, impedendoci di investire (la libido) in nuove passioni e relazioni. Il lavoro del lutto – descritto in parole sia scientificamente che letterariamente molto toccanti ad es. da Bowlby in Attaccamento e perdita e da Joan Didion in L’anno del pensiero magico – ha un andamento ripetitivo nel tentativo di superare, attraverso una nuova difficile ricombinazione di ricordi e affetti, lo
scacco della perdita, per aprirci nuovamente alla vita ed alla sua bellezza. “Se un fiore fiorisce una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida” ci ricorda con obiettività Freud, comprendendo al contempo che è proprio la ribellione verso il lutto a impedirci di ricominciare a gioire. In effetti il lutto rimane ancora in gran parte, come allora affermava Freud, un “grande enigma”, che potrà essere peraltro sempre più svelato e decifrato dalla collaborazione tra neuroscienze, psicoanalisi e psicologia cognitiva. Intanto lo scambio di esperienze, vissuti e riflessioni tra generazioni diverse sulle tante forme della perdita e della sofferenza rimane un concreto fattore di aiuto nel difficile tentativo di superarla. Raccontare è rivivere e rielaborare, ascoltare e riflettere sono la premessa per scoprire la fragilità e la forza che sono in noi. Ieri alla premiazione di strana.mente un anziano ufficiale medico ha raccontato di quando ha tenuto la mano del suo sergente in fin di vita in un deserto africano della seconda guerra mondiale. Un’anziana signora del suo primo bacio vicino all’auto del fidanzato conosciuto due mesi prima. Un’attempata insegnante del suo desiderio di entrare nella mente dei giovani studenti. Gli studenti odierni, da Brescia a Reggio Calabria, ci raccontano delle loro paure e gioie di esserci:
“Ci pare di possedere qualcosa e poi lo perdiamo e questo è doloroso, ma neppure il dolore permane. L’evento speciale non è questo: è il fatto che ho gioito, ho sofferto, ho avuto paura. Ed è il non-essere-per-sempre a rendere tutto ancora più prezioso di com’è già….” (Sara Lamberti – Martina Smorto).
Giovani e anziani in altri luoghi, non in grado (per il momento) di vedersi e annusarsi, si sono scambiati la caducità in 140 caratteri evanescentemente indelebili. Tutti ci portiamo dietro la nostra fragilità, dell’inesperienza o della senescenza, della realtà o della virtualità, dell’illusoria forza o della reale debolezza. Nello scambio la caducità non svanisce, né diviene meno dolorosa. Viene però partecipata, condivisa, vissuta in una fugace comunità che non ha paura di aver paura, soffrire, gioire, aprirsi allo scambio di pensieri ed affetti su perdita, dolore, fragilità, disagio. Come, si licet parva componere magnis, Freud a passeggio allora con i suoi amici. Ora tutti insieme in una passeggiata narrativa onlife.
Immagine tratta da National Geographic.it
Suggerimento musicale: W. Glück, Orfeo e Euridice Che farò senza Euridice“