Uno studio condotto da Adrian Ward, assistant professor at the McCombs School of Business at the University of Texas at Austin, pubblicato sul Journal of the Association for Consumer Research dimostra quello che tutti intuivamo/sapevamo da tempo. Che cioè il nostro Smartphone ci distrae riducendo le nostre capacità di concentrazione e di risoluzione dei problemi.
I ricercatori basandosi su precedenti studi dai quali risultava che la presenza di più stimoli personalmente rilevanti può ridurre le performance cognitive dell’individuo hanno testato quest’ipotesi del “Brain Drain” su 800 probandi possessori di smartphone. Li hanno suddivisi in 3 gruppi: il primo nel quale lo smartphone era raggiungibile e alla vista del possessore, un secondo in cui lo smartphone era vicino ma non visibile e un terzo infine in cui lo smartphone era in una stanza separata. Ai probandi sono state somministrate due batterie di test, la prima per valutare la loro capacità di memoria di lavoro disponibile la seconda per valutare l’intelligenza fluida funzionale.
Non credo desterà stupore apprendere che la sola presenza visibile dello smartphone riduce l’abilità cognitiva disponibile e che più i soggetti sono dipendenti dallo smartphone peggiori sono i loro risultati cognitivi.
L’interessante spiegazione dell’autore dello studio è che l’impiego di energia psichica necessaria per rimuovere il pensiero dello smartphone limiterebbe le nostre risorse cognitive
Your conscious mind isn’t thinking about your smartphone, but that process – the process of requiring yourself to not think about something – uses up some of your limited cognitive resources. It’s a brain drain.”
Lo stesso processo psichico che Freud ritiene essere alla base della rimozione dei vissuti e degli affetti spiacevoli e dell’ “indebolimento” psichico che esso comporta.
Sul mio smartphone leggo in uno degli splendidi post di Maria Popova @brainpicker – cui andrebbe un inestimabile premio per la mediazione e divulgazione culturale – le parole di Wallace Stevens sulla “pressione della realtà” e sulla necessità di una interazione tra realtà e immaginazione, che non sono in opposizione tra loro ma possibilmente in collaborazione. Scrive Stevens
“By the pressure of reality, I mean the pressure of an external event or events on the consciousness to the exclusion of any power of contemplation.” Lo scrive dopo i drammatici avvenimenti e le angosce della seconda guerra mondiale, che sembrava prefigurare il crollo definitivo di tutto sotto la pressione delle notizie:
“For more than ten years now, there has been an extraordinary pressure of news — let us say, news incomparably more pretentious than any description of it, news, at first, of the collapse of our system, or, call it, of life”
I tempi sono radicalmente mutati, gli avvenimenti anche, la loro tragicità e le nostre angosce rimangono. Lo smartphone è il prolungamento della nostra identità e il punto di contatto tra noi e il mondo, la sede in cui la “pressione della realtà” ci raggiunge e penetra in noi, lasciandoci spesso nelle stesse condizioni descritte allora da Stevens
“We are confronting, therefore, a set of events, not only beyond our power to tranquillize them in the mind, beyond our power to reduce them and metamorphose them, but events that stir the emotions to violence, that engage us in what is direct and immediate and real, and events that involve the concepts and sanctions that are the order of our lives and may involve our very lives; and these events are occurring persistently with increasing omen, in what may be called our presence.”
L’immaginazione è una straordinaria risorsa per la nostra sopravvivenza mentale, per far fronte alla pressione, alla violenza della realtà.
Ciò vale innanzitutto per l’artista, come scrive Stevens
…” It imperative for him to make a choice, to come to a decision regarding the imagination and reality; and he will find that it is not a choice of one over the other and not a decision that divides them, but something subtler, a recognition that here, too, as between these poles, the universal interdependence exists, and hence his choice and his decision must be that they are equal and inseparable.”
Ma l’interazione e l’integrazione tra pressione della realtà e forza dell’immaginazione, tra la violenza dei fatti sul “nostro” display e la libertà creativa e narrativa dentro di noi e nello scambio sui Social Media vale per ognuno di noi. Anche per questo la poesia e l’apertura ad essa, ma ad ogni forma di immaginazione creativa sui Social può essere così liberatoria, se riusciamo a liberarci dalla pressione dell’apparire, del dover essere, dell’immutabilità da cui cerchiamo di fuggire nella realtà per poi ricadervi nell’onlife
Parafrasando Faulkner si potrebbe sperare che la funzione dell’immaginazione, più o meno supportata dalla tecnologia, sia di aiutare ciascuno di noi a vivere la propria vita, anche con lo smartphone.
Immagine: Pieter de Hooch, 1670, Rijks Museum, Amsterdam