“Poli-amore è una non-monogamia consensuale. È una filosofia. Più che la ricerca attiva di più partner in modo lascivo, il poli amore significa accettare e capire che è possibile innamorarsi e avere relazioni con più di una persona contemporaneamente”.
Così spiega il poli-amore in un recente ampio articolo sul Guardian Elf Lyons, una “poliamorista” convinta che racconta la propria, a suo dire, assai felice esperienza, cui sarebbe giunta a 23 anni dopo aver faticato ad accettare la monogamia. Il poli amore avrebbe per lei un carattere liberatorio (ma non libertino), implicherebbe un atteggiamento corretto e trasparente nei confronti dei/le partner coinvolti/e che devono essere informati e consenzienti (non è un adulterio) e sarebbe la vera realizzazione della rivoluzione femminista. Si occupava dello stesso tema tra l’altro anche Io donna lo scorso anno riportando alcune considerazioni di Claudia Mattalucci, antropologa e ricercatrice all’Università Bicocca di Milano
In realtà la fantasia ma anche la pratica del poli amore è assai antica affondando le sue radici nel desiderio di realizzare il sogno di una completezza amorosa non nell’unicità ma tramite un puzzle di relazioni che coprano attraverso più persone le tante se non infinite sfaccettature dell’amore, dal sentimento al sesso, all’amicizia, all’ammirazione, condivisione di interessi etc. Quello che è cambiato è piuttosto il setting, nel senso che l’antica poligamia, che vedeva generalmente il maschio al centro di un harem femminile, si è aggiornata ai tempi moderni divenendo, almeno nel mondo occidentale, una democratica e paritaria condizione amorosa in cui maschi e femmine hanno (ovviamente) gli stessi diritti.
Che poi il poli-amore sia davvero la nuova frontiera della coppia, come intervistati ed intervistatori sembrano talvolta far balenare, è ancora da dimostrare. Sinceramente credo che l’attendibilità delle previsioni in quest’ambito sia ancora minore di quella relativa mercati finanziari.
Eppure il poliamore così come altre mille pur diverse tendenze (la coppia aperta, il rapporto a tre, lo scambio di coppia,) tradisce il disagio della coppia (attuale), il desiderio di superarne i limiti, vincerne la monotonia senza il trauma del tradimento nascosto. Proprio per questo vale la pena di rileggere Monogamia, un vecchio, prezioso saggio dello psicoanalista Phillips che illustra con profondità d’analisi e icastica brillantezza di forma, limiti e paradossi della monogamia tanto da recare (nell’edizione tedesca) il sottotitolo “ma 3 sono una coppia”.
Scrive Phillips “la nostra sopravvivenza richiede all’inizio una sorta di monogamia, la nostra crescita una sorta di infedeltà (noi critichiamo i nostri genitori, li tradiamo, li abbandoniamo)” E ancora “infedeltà è l’altra nostra parola per cambiamento, l’unico cambiamento del quale siamo sicuri che si tratti di una trasformazione del nostro modo di sentire”. Fino ad affermare provocatoriamente “nel caso migliore la monogamia è forse il desiderio di trovare qualcuno con cui morire, nel caso peggiore è un mezzo contro la paura di essere vivi. Ci si può facilmente confondere”.
Se però le definizioni, i concetti e le stesse forme del legame amoroso sono destinati a cambiare ad ogni epoca, il conflitto di fondo tra fedeltà (a sé stessi e all’altro) e infedeltà all’interno della relazione amorosa – di qualsiasi tipo essa sia – rimane sostanzialmente invariato, da Saffo a Catullo alla Szymborska. Sotto la variabile cornice storica vi è un nucleo conflittuale psicologico ed esistenziale che, in ogni periodo storico, espone a lacerazioni personali non risolvibili solo sulla base di una nuova struttura e definizione della relazione amorosa.
Scrive Rilke (nella sua settima lettera, opere complete, mia traduzione dal tedesco) proprio a riguardo delle difficoltà d’amore dei giovani:”essi agiscono sulla base di un comune stato di impotenza e quando vogliono evitare una convenzione che li colpisce (ad esempio il matrimonio), cadono nelle braccia di una meno pura ma non meno “mortale” convenzione; perché in questo territorio attorno all’amore, anche assai lontano, tutto è convenzione” mentre le domande che attanagliano ciascuno di noi in questi frangenti sono domande che “hanno bisogno per ogni caso di una nuova, speciale e personale risposta” poiché per l’amore, così come per la morte, continua Rilke, non sono ancora state trovate comuni e concordate regole risolutive.
Ciò non significa trascurare l’evoluzione storica delle relazioni amorose né tantomeno chiudersi all’innovazione ma tener conto della “lentezza” biologica e prima ancora che psicologica della nostra evoluzione emotiva.
È possibile che il poli-amore, che un tempo veniva considerato, da una psichiatria monogamicamente sposata con l’ordine costituito, all’interno delle perversioni, offra ad alcuni strutture relazionali più flessibili e dunque utili per la gestione delle proprie pulsioni e magari a tutti spunti di riflessione per superare gelosie assurde e troppo limitanti. Credo tuttavia sia fuorviante pretendere da nuove concetti e strutture relazionali la risoluzione di conflitti personali così come i conflitti di coscienza individuali non possono essere risolti da precetti e dogmi (religiosi o no). L’amore, che fin dal simposio platonico va di pari passo con la conoscenza ( tanto che Edgar Morin può dire, per tweet, “La philosophie est la connaissance sous l’empire d’Eros.”), ci pone di fronte a dilemmi irrisolvibili, a sfide personali impossibili, a scelte inaccettabili. Anche per questo è così tormentosamente affascinante
Immagine tratta da www.zitty.de
suggerimento musicale, a cura di @marcoganassin: Esbjörn Svensson Trio – Elevation of Love