Non so se la frase “il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male ma da quelli che li guardano senza fare nulla” sia davvero di Einstein – il quale, se fossero vere tutte le citazioni che gli vengono attribuite in Internet, non avrebbe neppure avuto il tempo per occuparsi di relatività – ma mi sembra esprima comunque bene il dramma dei nostri digitali giorni. In cui abbiamo mille strumenti per conoscere ma assai meno per agire e ancor meno tempo per farlo. Tutti abbiamo avuto la possibilità di vedere come, mentre il povero Niccolò Ciatti veniva bestialmente pestato a morte, “gli altri” stessero a guardare. Al punto che un filosofo (?) assai sbrigativamente commenta “la grigia selfie generation, mutila di passioni politiche ma open mind e market friendly, ha preferito filmare una persona picchiata a morte piuttosto che intervenire.” Ma quando abbiamo guardato quel video (un fotogramma, una parte o per intero) non abbiamo tutti fatto lo stesso? E chi di noi l’ha diffuso, ritwettato? E chi ne ha tratto lo spunto per nuovi o vecchi #hashtag? Ma anche chi ha supplicato di non farlo circolare, invocando almeno un po’ di pietas per quel povero ragazzo e i suoi familiari, come avrebbe potuto fare quell’appello se non sulla base della conoscenza (pur sommaria o indiretta) di quel video? E chi ha scritto sul fenomeno, sulle altrui e proprie reazioni?
Nel momento stesso in cui acquisiamo conoscenza di qualcosa di malvagio, a maggior ragione se direttamente, senza la mediazione (culturale, psicologica, morale) dei tradizionali Mass Media, siamo fin da subito confrontati con quella malvagità e insidiati dal pericolo di venirne contagiati e diventarne dunque complici. Perché conoscenza é (anche) nel bene o nel male potenza. Ma può anche divenire impotenza morale. Possiamo farci schiacciare dal contagio emotivo di eventi, fenomeni terribili e potenzialmente traumatizzanti (che sia il video di Niccolò Ciatti, quello dei morti e dei feriti sulla rambla di Barcellona – che la polizia spagnola invitava giustamente a non diffondere, ma che tutti abbiamo guardato – ma anche i commenti violenti, sessisti, razzisti) e, pressati anche dalla mancanza di tempo, diffondere meccanicamente divenendo parte di quella “banalità del male” su cui la Arendt ci metteva in guardia. Possiamo però anche cercare il confronto con la malvagità che ci viene comodamente consegnata a domicilio da Internet, dai Social Media e che in realtà é solo un riflesso della nostra. E anziché prendercela con questo o quello, prendere autonomamente posizione. Nella consapevolezza però della nostra colpa ed impotenza. Perché, come scrive Marai, nel suo “La donna giusta”, ” La vita è un po’ un delitto…. non siamo mai innocenti”. Comunque ci schieriamo, agiamo, non agiamo, commettiamo una colpa (rispetto alla soluzione teorica del bene ideale) ma proprio assumendoci questa responsabilità diveniamo (un poco) più autonomi, (un poco) meno passivi e meno complici di un male (peggiore). Anche Dürrenmatt ne “Il giudice e il suo boia” scrive
“Siamo tutti complici, semplicemente perché esistiamo”.
Possiamo (forse) esserlo un poco meno se accettiamo il peso di esserlo. Perché, continua Dürrenmatt “sentimentale è chi
… non ha la forza e il coraggio di assumersi le proprie responsabilità” . In quest’autonoma assunzione di responsabilità di fronte alla vita onlife sta forse la nostra unica possibilità, che non può essere sostituita da nessun dogma, codice, precetto, galateo sia analogico che digitale. L’educazione al digitale è, credo, prima di tutto educazione, dunque anche riflessione e confronto con il male che ci portiamo dentro.
Scrive ancora Dürrenmatt: “É l’uomo stesso che desidera l’inferno, lo coltiva nei suoi pensieri e lo crea con le proprie azioni”. La realtà di ogni giorno e anche quella onlife del nostro tempo ce lo dimostra purtroppo inequivocabilmente. Calvino ci offre però una (faticosa) via d’uscita, che credo valga anche onlife
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Calvino, Le città invisibili).
Immagine: Tratta da @therealbanksy
Suggerimento musicale: Vivaldi, Tito Manlio, Orribile lo scempio