“La crisi è passata ma la fiducia dei cittadini è distrutta”. Questa è la sintetica conclusione cui arriva il bel reportage (in tedesco) di un giornalista svizzero (Peter Voegeli) che analizza la sconfitta della democrazia cristiana (CDU) in Baviera e l’ascesa anche lì, nella roccaforte di Franz Josef Strauss, del partito di estrema destra tedesco, alternativa per la Germania AfD.
In realtà si potrebbe dire lo stesso per i cittadini di molte altre nazioni del mondo occidentale (dall’Italia, all’Austria, all’Ungheria agli USA) che, dopo la crisi finanziaria, si percepiscono, oggettivamente a torto, ma soggettivamente nella loro testa “a ragione”, impoveriti, stranieri nella loro stessa patria, minacciati dai migranti, impauriti dalla globalizzazione, ignorati dalla vecchia politica. Le statistiche offrono tutt’altri dati, razionalmente tutto sommato rassicuranti, ma l’inconscio della percezione collettiva parla la lingua irrazionale ed emozionale (ma non per questo assurda) delle paure e delle angosce, sapientemente cavalcate da nazionalisti, sovranisti e populisti. Tra i due linguaggi si sa quello che almeno a breve termine ha la meglio. Al mio paziente che vede leoni feroci posso ben dire che sono in realtà gatti, spiegargli che la sua visione alterata è la conseguenza di un difetto delle sue sinapsi o dei suoi tragici legami, fin tanto che lui vede leoni pronti a sbranarlo il panico (di emozioni e comportamenti) continuerà ad assalirlo e delle mie spiegazioni se ne farà ben poco. Se poi vicino a lui qualcuno imita il ruggito o fa passare gli artigli del gatto per quelli del leone è facile immaginarsi come possa passarsela il malcapitato.
Non vorrei indulgere anch’io all’esagerazione ma una simile angoscia è la condizione quotidiana di molti di noi nel nostro mondo liquido, quanto più limitate sono le risorse, finanziarie e soprattutto cognitive, che abbiamo a disposizione per orientarci e nuotare. Una recente rilevazione statistica condotta in Svizzera, paese dalla proverbiale prudenza, con un’ottima formazione scolastica e nemmeno lontanamente sfiorato dalle tragedie umanitarie di tante altre nazioni, lo dimostra chiaramente:
“Quattro persone su cinque in Svizzera considerano le “fake news” una minaccia per la democrazia e la coesione sociale.
Per la grande maggioranza degli svizzeri, il colpevole di questa evoluzione è presto trovato: Internet. Il 74% degli interpellati ritiene che la proporzione di “notizie false” … sia aumentata anche nei media tradizionali da quando si è imposta Internet come mezzo d’informazione.”
Se questo è il sentimento – obiettivamente tutt’altro che veritiero ma soggettivamente percepito – della stragrande maggioranza di una nazione, con uno dei più alti redditi pro capite al mondo, una formazione scolastica e professionale invidiabile ed una democrazia diretta praticamente unica al mondo, dubito che il parere di cittadini assai meno fortunati possa essere molto più illuminato.
Cosa fare allora di fronte a quest’angoscia strisciante, insidiosa e, direbbe forse Freud, perturbante che assume di volta in volta i contorni della disinformazione, della crisi finanziaria, della precarizzaziine, della globalizzazione, dell’immigrazione, della robotizzazione, dell’AI, insomma della paura di un nuovo, un diverso, un estraneo che ci pare sconosciuto e appunto per questo minaccioso?
I saggi svizzeri rispondono, nello stesso sondaggio, che il “pericolo [delle fake news] potrebbe essere ridotto da una migliore formazione scolastica”. Cosa sensata e scontata allo stesso tempo. Perché sarebbe come consigliare al mio paziente che vede leoni di andare a consultare un testo di zoologia. Certo il manuale lo aiuterebbe a distinguere i gatti dai leoni ma nel momento della panico non se ne farebbe un gran ché.
Una risposta molto più originale la suggerisce in uno splendido articolo la scrittrice ed intellettuale turca Elif Shafak, autrice tra l’altro del meraviglioso “Tre figlie di Eva”
Il romanzo, dice, splendidamente, la Shafak, rifacendosi alla sua personale storia di vita, conta in quest’età della rabbia perché ci costringe a confrontarci con il punto di vista dell’altro (“Have you ever considered the story from the point of view of the Other?”). E ci porta a percepire quest’altro non come un numero, un’identità indefinita ma una persona inconfondibile con cui potersi (o meno) immedesimare. Nella solitaria riflessione sulla propria esperienza, in cui vengono riflettute e si riflettono le esperienze altrui, lo scrittore illumina inoltre quella che Benjamin chiama la “perplessità del vivere“. In questo doloroso ma vitale passaggio il diluvio di informazioni viene distillato e trasformato, almeno nella migliore letteratura, in saggezza (“it also distils the deluge of information into drops of wisdom”).
The birthplace of the novel is the solitary individual, who is no longer able to express himself by giving examples of his most important concerns, is himself uncounseled, and cannot counsel others. To write a novel means to carry the incommensurable to extremes in the representation of human life. In the midst of life’s fullness, and through the representation of this fullness, the novel gives evidence of the profound perplexity of the living.(Benjamin)
La distinzione benjaminiana tra informazione e saggezza è ancora più vera al tempo attuale della disinformazione, che crea solo dicotomie e vuole abolire individualità e pluralità. Tutta la complessità del vivere e dell’uomo viene ridotta da og ni fanatismo ad uno schematico bianco/nero in cui esistono solo residenti/migranti, buoni/cattivi, amici/nemici. La saggezza della narrazione letteraria consiste, al contrario, proprio nella capacità di vivere e far rivivere l’affascinante, straordinaria, molteplicità della vita e di ognuno di noi (“Wisdom” is harder won – I would argue that it embodies not only knowledge but also empathy and emotional intelligence.”) Se il fanatismo, ogni fanatismo, sia religioso, che ideologico che nazionalistico riduce a semplicistica astrazione l’irriducibile complessità dell’individuo e della società, il romanzo restituisce unicità e umanità a coloro cui è stata sottratta (“The job of a writer is to rehumanise those who have been dehumanised”). Poiché, come diceva, Elie Wiesel,
the opposite of love, kindness or peace is not necessarily hatred and war. The opposite of love is numbness. It is indifference.
Shafak aggiunge:
The novel matters because it punches little holes in the wall of indifference that surrounds us. Novels have to swim against the tide. And this was never more clear than it is today.
e conclude
The novel matters because stories continue to connect us across borders, and help us to see beyond the artificial categories of race, gender, class. The world is frighteningly messy today, but a world that has lost its empathy, cognitive flexibility and imagination will surely be a darker place.”
Ne sono convinto e credo che di narrazione letteraria e della sua ricchezza umana abbiamo tutti quanto mai bisogno in un momento storico a tratti così arido come il nostro.
Immagine: Marc Chagall
Suggerimento musicale: Nicola Porpora, concerto per Cello, adagio