Cosa fa di una famiglia una famiglia? I legami di sangue – saremmo tentati un po’ affrettatamente di rispondere. All’uscita del film Affari di famiglia (Shoplifters) non ne siamo più così sicuri. Credo non lo saranno nemmeno quelli che hanno il dogma facile e le norme morali prestampate. Basterebbe questa capacità di far vacillare certezze, con la tenerezza e la bellezza di un fiore di campo, a fare del film “affari di famiglia” un capolavoro (inducendomi a scriverne ora anche se il film, che ha vinto quest’anno la palma d’oro a Cannes, è uscito nelle sale italiane già a settembre mentre per non so quali misteri delle distribuzione è arrivato in Svizzera tedesca solo in questi giorni).
Quella che inizialmente osserviamo sembra infatti essere a tutti gli effetti una famiglia, anche se un po’ particolare, con una nonna, un padre, una madre, una figlia, un figlio e, dopo poche scene, una bambina di cinque anni, adottata o sequestrata ma comunque sottratta ai maltrattamenti dei genitori naturali. Man mano che il film procede, con garbo misurato e quanto mai espressivo ed efficace, capiamo però che “Niente, davvero niente, … è come sembra; eppure tutto quanto lo è.” (Viaro )
Siamo in Giappone, nella sconsolata periferia di una grande città dove la famiglia in questione vive ai margini della povertà e della cosiddetta moralità. La nonna spende parte della sua pensione, su cui sembra reggersi l’intera famiglia, alle slot machine. Il padre ha indubbiamente più fortuna nell’insegnare al figlio a rubare nei negozi che a lavorare lui stesso nell‘edilizia, la madre, addetta ad una lavanderia, non disdegna di regalarsi quanto dimenticato dai clienti nei vestiti da lavare, una figlia si mantiene lavorando in una specie di peep show.
Mentre prendiamo mentalmente nota di tutte queste informazioni, vediamo e soprattutto viviamo qualcos’altro, ancora più importante: il ricchissimo gioco di sguardi tra padre e figlio, la perfetta sincronia e sintonia delle loro azioni, ma anche l‘insicurezza emotiva del bambino e i suoi dubbi nei confronti del padre, la tenerezza dell‘affetto che sembra indissolubilmente legare nonna e nipote, le commoventi premure della madre nei confronti della bambina „adottata“, l‘oliata routine, non priva però di sorprese, della coppia genitoriale e mille altri dettagli, sguardi penetranti, gesti accennati, parole trattenute, insomma tutto ciò che sentiamo, percepiamo, viviamo, per lo più senza rendercene conto, nel quotidiano e che solo successivamente riusciamo a interpretare, catalogare, comprendere. Come se la macchina da presa (si usa ancora?) del regista ci svelasse attraverso quei dettagli i sentimenti e i rapporti che animano i protagonisti del film e in definitiva ognuno di noi. Una sorta di seduta d‘analisi svolta con la finezza di un fiore, la toccante semplicità di un bambino, l‘efficace precisione di un‘ape, la profondità di sguardo di un‘aquila. Nulla è unilaterale, tutto è molteplice, multiforme, variegato ma per niente affatto complicato. La scena della famiglia che va al mare e tutta insieme gioca felice con le onde a pochi passi dal bagnasciuga è meravigliosamente poetica e al tempo stesso quanto mai indicativa segnando il punto di svolta del film. Anziché trascolorare nel sentimentalismo, la narrazione guadagna poi in struttura e rivela sempre più apertamente gli (inconfessabili) conflitti sottostanti l’apparente raggiunta armonia. Eppure anche nei momenti più drammatici le sfumature rimangono e continuano a tratteggiare i sentimenti dei personaggi, a scorrere nelle loro azioni, a rendere profonde anche se dirette le loro parole. Non è vaghezza ma ricchezza, molteplicità, profondità grazie alle quali ognuno di noi può ritrovarsi almeno un po’ in quei personaggi, nelle loro emozioni, nei loro conflitti.
Credo che l’arte sia anche questo: in una forma compiutamente definita (tale da avvicinarsi alla perfezione) rendere possibile in chi osserva una molteplicità di percezioni nuova, originale, che apre nuove prospettive. In questa capacità creativa l’arte si avvicina alla scienza – scriveva già Steiner nel suo Grammatiche della creazione. È come se la bellezza e la precisione della creazione artistica ci consentissero di abbandonare la nostra prospettiva ristretta e irrigidita del quotidiano e ci facessero ritornare per un momento in uno stato simile a quello delle nostre cellule originarie (indifferenziate totipotenti) in cui tutto è possibile. Il bianco e il nero della nostra ristrettezza mentale, faziosità politica, rigidità morale si attenua e per un momento svanisce lasciando posto a nuove prospettive, originali sviluppi, incogniti cambiamenti. Il ladro può essere un buon padre, ma anche aver paura di non esserlo e di perdere il figlio. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, i sentimenti sono per natura ambivalenti e le nostre azioni nella maggior parte dei casi molto lontane dall’essere logiche oltre che giuste. Eppure le nostre azioni hanno conseguenze e, prima o poi, bisogna assumersene le responsabilità.
Affari di famiglia non è un film buonista né cattivista, si sottrae agli schemi e agli stereotipi che ci portiamo dietro ogni giorno, in casa, sul lavoro, sui mass e social media. È un’opera d’arte e come tale l’esatto contrario della disinformazione cui siamo sottoposti e ci sottoponiamo ogni giorno. Mentre un film come Affari di famiglia e ogni altra opera d’arte ci aiutano a scoprire la molteplicità e varietà della vita in tutte le sue sfumature, la disinformazione riduce la complessità dell’esistente e dell’esistenza a due (paranoici) schieramenti contrapposti, quelli degli amici e dei nemici. La disinformazione è allettante perché semplifica, non richiede di percepire e pensare criticamente, solo di prendere emozionalmente posizione pro o contro. In un’epoca storica in cui purtroppo rigidi schieramenti sembrano nuovamente prender piede, i muri far da prolungamento alle frontiere mentali, la paura prevalere sulla speranza un capolavoro come Affari di famiglia è una terapia per disintossicarsi dalle tossine della paranoia, della paura, della rabbia e del risentimento e ri-aprirci senza pregiudizi alla vita.
Immagine: Affari di famiglia, Vikipedia
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