Perché i talenti italiani sono attratti da Zurigo.
Titolava così pochi giorni fa il Tages-Anzeiger uno dei principali quotidiani della Svizzera tedesca e nel sottotitolo precisava „Oggi, soprattutto ricercatori, avvocati e medici italiani immigrano in Svizzera e vedono in Zurigo la città perfetta.“
In due pagine di interviste, principalmente a giovani immigrati/emigrati (a seconda dei punti di vista) ma anche al console italiano a Zurigo, a ricercatori e imprenditori, si profila il quadro di giovani italiani con ottimi titoli di studio, “creativi, flessibili, socievoli e spiritosi” che hanno trovato a Zurigo quello che a lungo hanno cercato in Italia, senza trovarlo. Non solo un posto di lavoro, ma posizioni di responsabilità molto ben retribuite, posti di ricerca in cui è possibile fare ricerca ad alto livello, con cospicui fondi a disposizione, riconoscimento del merito, senza clientelismo amorale e senza baroni cui scappellarsi, burocrazia ridotta al minimo.
Non si tratta di percezione soggettiva o casi isolati. Le statistiche lo confermano. Il numero di professoresse (i sostantivi professionali in Svizzera si declinano sempre anche al femminile senza danni per le orecchie dei puristi) e professori e del personale scientifico proveniente dall’Italia è aumentato del 20% dal 2013 al 2018 all’ETH [ il Politecnico di Zurigo] e analogo incremento si riscontra all’Università di Zurigo dove, negli ultimi tre anni si è avuto un aumento di professoresse e professori italiani del 26% e del 16% di assistenti per un totale di 278 persone.
Quello che emerge ancora di più dall’articolo è però l’amarezza e il risentimento che questi giovani portano con sé verso un paese, in cui i giovani sono disperati, i concorsi inaffidabili, le relazioni personali e familiari ancora prevalenti sul merito per riuscire a cambiare classe sociale, mentre i figli dei nostri immigrati degli anni 60-70 in Svizzera qui hanno non solo studiato ma anche trovato posti di lavoro corrispondenti ai loro studi.
È il drammatico problema della nuova emigrazione italiana, che può compiacere, con sottaciuto elvetico senso di superiorità, Zurigo e la Svizzera ma dovrebbe preoccupare noi italiani. Tutti. Dal 2008 infatti in Italia, nonostante la paura dell’invasione e della sostituzione etnica, cavalcata ad arte da politici senza scrupoli, l’emigrazione prevale sull’immigrazione con un saldo negativo di 420.000 persone, due terzi dei quali possiedono una formazione scolastica media o superiore. La percentuale dei laureati tra gli emigrati è aumentata di più del 40% tra il 2013 e il 2017.
Di questo fenomeno scriveva lo stesso 4 gennaio Ferruccio de Bortoli “Gli immigrati in Italia: che cosa dicono i numeri”
“Mentre i nostri giovani — l’emergenza emigrazione di cui non ci occupiamo — soprattutto laureati e in particolare dal Sud se ne vanno in massa. Il saldo migratorio, da anni ormai, non compensa la negatività del saldo naturale. Fa peggio di noi, in Europa, solo la Romania che è un Paese a fortissima emigrazione. Insomma, non c’è una invasione, semmai una lenta inesorabile evacuazione.”
Gli faceva da contrappunto lo stesso Corriere sottolineando che “I giovani che lasciano (anzitempo) la scuola pesano 10 volte di più dei laureati che emigrano”
Il senso non è a mio avviso di contrapporre gli uni agli altri e scatenare faziose lotte tra chi si vede solo braindrain e chi solo l’abbandono scolastico, chi fa fuoco e fiamme per gli expat e chi per il reddito di cittadinanza per l’avvio al lavoro. Anziché dichiarare emergenze a giorni alterni, si tratta di decidere dove investire nel medio e lungo termine le nostre (poche) risorse, quali le priorità e quali invece gli optional (chi non vorrebbe il frigo bar in auto?) e decidere di conseguenza. Per i giovani.