Che relazione intercorre tra incertezza e fiducia? Me lo chiedevo leggendo un articolo di Luciano Floridi che, in meno di quattro pagine riesce a definire cosa sia l’incertezza e perché un sano grado di incertezza sia non solo benvenuto ma vada anzi incoraggiato. Innanzitutto – argomenta Floridi – poiché l’incertezza lascia la porta aperta a nuove possibili domande e possibili risposte impedendo in tal modo l’intolleranza della certezza pregiudiziale, tipica dei regimi illiberali. In secondo luogo un certo grado di incertezza e la capacità prendere in considerazione ipotesi alternative hanno un valore epistemologico da non sottovalutare sia nella scienza che nella vita di ogni giorno (la pandemia dovrebbe avercelo insegnato). Infine, e soprattutto, – conclude Floridi – l’incertezza può essere sfruttata per limitare il potere che deriva dalle informazioni o vincolarlo per farle funzionare meglio. Quest’ultimo aspetto, che può apparire a prima vista paradossale, viene spiegato da Floridi con un esempio tratto dalla circolazione stradale:
”Think of the case in which each passenger gets out of a bus slightly less quickly but much more ordinately, so that the whole group actually moves faster. This paradoxical conclusion applies to information traffic as well.[ …]If everybody remains slightly uncertain about some carefully chosen topics, the whole society ends up enjoying a better flow of information about other, perhaps more pressing issues.”
Questo quid di incertezza che deve rimanere per garantire un miglior flusso d’informazione mi ha fatto venire alla mente, per associazione, l’inconscio freudiano. Com’è noto Freud invita o meglio ingiunge di sostituire all’inconscio il conscio per giungere così alla piena consapevolezza. “Dove era l’Es deve subentrare l’Io” (Introduzione alla psicoanalisi. Nuova serie di lezioni, 1932, Sigmund Freud, Bollati Boringhieri, Ed digitale, pag 1012-1013) scrive Freud e prosegue “È un‘opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuidersee” un vasto golfo del mare del Nord che in Olanda era stato prosciugato ai tempi di Freud per lasciar posto a nuovi terreni coltivabili.
È singolare, quasi paradossale appunto, che proprio lo scopritore dell’inconscio non si sia reso immediatamente conto che tale “prosciugamento” dell’inconscio, tale apparente guadagno di consapevolezza (dunque di informazione “certa”) si tradurrebbe in realtà in un impasse, poiché priverebbe il genere umano proprio della fonte creativa inconscia cui essa attinge, come hanno appunto dimostrato Freud e Jung. L’inconscio infatti, così come l’incertezza, non è un disvalore ma sta piuttosto in una dinamica e proficua relazione con il conscio. Senza l’inconscio avremmo un deserto di certezze senza alcuna fonte di ambivalenza e di creatività.
Ma quanta incertezza riusciamo a sopportare? Anche in questo caso è lecito immaginare che il rapporto tra il genere umano e l’incertezza sia dinamico e storicamente determinato. La nostra epoca (inaugurata appunto dal concetto di inconscio, dal principio di indeterminazione, dalla teoria della relatività, contraddistinta dal relativismo nonché da una società liquida) sembrerebbe caratterizzarsi per un notevole grado di incertezza ovvero di tolleranza della stessa, salvo poi non accettarla quando essa è troppo elevata e dura troppo a lungo come nel caso della pandemia.
Molteplici recenti studi psichiatrici e psicologici attribuiscono d’altro canto sempre maggiore importanza al concetto di epistemic truth (Fonagy), di fiducia epistemica (intesa come fiducia nella possibilità di comunicare il sapere), e evidenziano che tale fiducia nella comunicazione umana e nella sua efficacia dipende a sua volta dal tipo di attaccamento che ciascun individuo ha sviluppato a partire dall’infanzia e dal suo conseguente stile relazionale. Per semplificare, chi ha avuto la possibilità di sviluppare un attaccamento sicuro è incline ad avere una buona fiducia epistemica, dunque a confidare nella possibilità di comunicare e scambiare informazioni per giungere a soluzioni utili. Chi ha invece sviluppato un attaccamento insicuro tende a presentare una persistente sfiducia epistemica, Mistrust (che non è un sano scetticismo ma una permanente sfiducia nella stessa possibilità del sapere e della sua trasmissione) o al contrario una credulità eccessiva, Credulity
Un recentissimo studio comparso su plos one, dimostra empiricamente che sfiducia e credulità sono significativamente correlate con l’aumento del rischio di disturbi mentali.
Mistrust and Credulity scores were associated with childhood adversity and higher scores on the global psychopathology severity index and both factors partially mediated the link between early adversity and mental health symptoms. Mistrust and Credulity were positively associated with difficulties in understanding mental states and insecure attachment styles.
Risulta quasi spontaneo pensare ai No-Covid e ai Novax che, da una parte negano l’evidenza scientifica, e dall’altra credono ciecamente ad assurdi complotti e altrettanto assurdi rimedi.
Al tempo stesso questi ed altri studi inducono a pensare che proprio riducendo sfiducia e credulità possiamo migliorare la resilienza e l’efficacia della psicoterapia e favorire un migliore adattamento alla società.
Per una volta dunque le teorie dell’informazione e la psicoanalisi sembrano concordare nel sostenere che un po’ di incertezza ovvero un “po’ d’inconscio” migliora l’informazione, cioè il conscio. Al tempo stesso per potersi fidare della comunicazione umana e della sua efficacia e tollerare l’incertezza, che vi è inevitabilmente correlata, dobbiamo ridurre sfiducia e credulità, che derivano a loro volta da un attaccamento (genitori-bambino) insicuro e sono correlate con un maggior rischio di disturbi psichici