Cosa succederebbe se il pubblico della Scala, si trovasse unito a quello di uno stadio, di un concerto rock, di un festival letterario e di un incontro di pugilato? È quantomeno probabile che i diversi tipi di pubblico non si capirebbero, comincerebbero a fraintendersi e poco dopo ad entrare in conflitto tra loro. È quanto si verifica sempre più frequentemente sui social media in cui un pubblico molto vasto ed eterogeneo viene a contatto con un’informazione inizialmente concepita per un pubblico molto più ristretto, portando a situazioni conflittuali ed emozionalmente molto gravose per l’individuo o gli individui che vengono presi di mira, come è capitato ad esempio alla giornalista del Guardian Elle Hunt, oggetto di pesanti critiche e insulti solo per aver scritta che Alien non era a suo avviso un film horror. Per spiegare questo fenomeno alcuni sociologi che si interessano di media hanno proposto – come spiega il Post di qualche settimana fa in un suo bel post – di far riferimento al concetto di „collasso del contesto“
„Basandosi sul lavoro di Goffman e di altri sociologi, alcuni studiosi come l’antropologo Michael Wesch e l’etnografa e teorica dei social media Danah Boyd hanno sostenuto che le piattaforme dei social hanno reso più sfumati e indefiniti i confini tra i gruppi sociali di riferimento, gruppi che per lungo tempo avevano modellato le relazioni personali e le identità degli individui“ […] Sui social network, gli individui hanno invece accolto una definizione di contesto che ammettesse la possibilità che una singola rappresentazione di sé, per utilizzare i termini di Goffman, potesse essere proposta ad amici, colleghi, genitori, insegnanti e altri gruppi eterogenei.“ L’impossibilità sui social di presentare sé stessi in forme e modi diversi a seconda del contesto porterebbe dunque a un collasso del contesto generatore di confusione e conflitti.
Premessa la mia incompetenza sociologica e socialmediatica e tralasciando molte altre specificazioni, mi sembra indubbio che il concetto di collasso del contesto sia molto utile per comprendere le dinamiche psicologiche dei social media. Effettivamente „il digitale ha rimodellato i confini tra pubblico e privato ed ha al contempo ricombinato aspetti tradizionalmente separati della nostra vita pubblica e privata.“ così che i „social media sono divenuti lo spazio in cui mostrare ed esprimere non solo il nostro aspetto esteriore, ma anche la nostra interiorità.“ con i conseguenti problemi di esposizione pubblica e di tentativo di riparo dalla stessa tramite una maschera (persona, falso sé).
La particolarità dei social non é però solo quella di mescolare contesti diversi ed eterogenei ma anche e soprattutto che sul palcoscenico social ci stiamo noi. Naturalmente ci siamo da sempre identificati con i personaggi dell‘opera lirica, i calciatori dello stadio, i cantanti rock, gli scrittori e i pugili. Proprio per quello ci prendiamo la briga di andarli a vedere. Ma l’identificazione era al tempo stesso favorita e delimitata dai diversi contesti. All‘opera l’identificazione si manifesta più frequentemente con la commozione, allo stadio con l‘esultanza o la rabbia etc. Sui social i protagonisti sulla scena siamo, consapevolmente o inconsapevolmente, noi. Rappresentiamo le nostre vite sul palcoscenico socialmediatico mentre osserviamo, non proprio con bonaria indulgenza, le vite altrui. Tutto ciò che si svolge sui social lo riferiamo pertanto a noi stessi. I social sono delle onnipresenti nuvole in cui vediamo quello che noi vogliamo vedere, dunque quello che noi siamo. Altrimenti detto, i social media sono delle macchie di Rorschach sempre a disposizione sulle quali proiettiamo le nostre ansie, i nostri desideri, i nostri impulsi, le nostre anime. È per quello che su Twitter succede frequentemente che se Tizio parla per conto proprio della dieta mediterranea, Caio, che manco lo conosce, interagisce per affermare che a lui la dieta mediterranea non interessa, gli fa schifo, che è un complotto delle lobbies degli agricoltori etc. etc. Naturalmente a Caio non interessa niente di Tizio e tantomeno della dieta mediterranea. Gli interessa invece esprimere la propria rabbia e in quel momento la dieta mediterranea fa al caso suo come lo farebbe un barattolo per strada pronto per essere calciato. Non è possibile comprendere la dinamica dei social senza questo concetto ( prettamente psicoanalitico) della proiezione. Quanto meno è strutturato il reattivo, l’oggetto cioè che suscita la mia percezione, tanto più io tenderò a proiettarvi parti di me, come avviene appunto con le famose macchie. Sui social nutrirò inoltre la speranza più o meno conscia che qualcuno mi riconosca, si interessi a me, alla mia rabbia o alla mia gioia, la rispecchi o quantomeno si metta in relazione con me anche se solo per mandarmi al diavolo. Anche in questo non faccio altro che riproporre con l’ignaro interlocutore – che ha naturalmente analoga tendenza- il rapporto che io ho vissuto con le persone più significative della mia infanzia. E lo stesso farà l’interlocutore con me. La dieta mediterranea sarà il nostro oggetto transizionale, l‘orsacchiotto di peluche che condivideremo oppure no, la palla con cui giocheremo con gioia, rabbia, disinteresse o per niente affatto. Ecco, i contesti sono importanti e il loro collasso potenzialmente pericoloso. Ma per capire perché ci esponiamo nei diversi contesti, li lasciamo e ci lasciamo collassare, dobbiamo prima di tutto capire cosa proiettiamo sui social, cosa ci aspettiamo dagli altri, qual è il rapporto che ci ispira. No, non c’è bisogno di andare dallo psicanalista per questo – anche se non mi stupirei emergesse presto la figura del terapeuta socialmediatico – basta ogni tanto guardare le proprie di macchie.
Immagine X Tavola del test di Rorschach