In questo giorno in cui celebriamo chi è giunto a dare la vita per la nostra libertà e non possiamo dimenticare chi oggi deve combattere per difenderla, è lecito anche pensare al futuro dei nostri diritti. Nel suo articolato e ricchissimo contributo per l’imminente conferenza “Vivre par(mi) les écrans“ dell‘Università di Lione, Luce De Biase riflette e ci fa riflettere sugli sviluppi della mediasfera, „l‘ambiente nel quale evolvono le culture degli umani“. Partendo dalla constatazione che „nell’ecologia dei media non sono importanti tanto i singoli messaggi quanto le relazioni tra le persone e le loro menti, i messaggi e i loro contesti“ e che „nel mondo digitale le connessioni sono strutturate contemporaneamente su più livelli, come sono plurali le identità delle persone“, De Biase traccia un quadro ampio, approfondito e molto stimolante dei rapporti tra informazione ed economia („il denaro è informazione“ secondo Bill Gates), tra rivoluzione digitale ed evoluzione („le rivoluzioni sono tante, l’evoluzione è una sola“), tra individui e strutture, cercando di comprendere anche ciò che internet non cambia e ponendosi il problema „della sostenibilità del sistema che emerge nell’epoca della conoscenza.“
Riprendo solo uno dei tantissimi spunti e cerco di svilupparlo dal punto di vista che mi è più familiare, quello psicoanalitico. De Biase rileva che „per ogni rivoluzione c’è una controrivoluzione“ dunque anche per quella digitale ce ne deve essere una e che „una rivoluzione non libera gli umani per molto tempo. Le sue conseguenze li ingabbiano spesso più di quanto non fossero prima.“ È la freudiana coazione a ripetere che ci imprigiona, ogni volta, nelle sue maglie.
Se fino a poco tempo fa si poteva affermare che „internet cambia“ tutto e „internet ci rende liberi“, dobbiamo ora constatare che niente, neanche internet cambia tutto e che nel „lungo periodo“ sono piuttosto le piattaforme e le narrative che ne scaturiscono ad ordinare, valorizzare e rendere funzionale la conoscenza. Tra i tanti pericoli che ne scaturiscono vi è il riaffermarsi di narrative puramente tecnocratiche, finanziarie che sembrano confermate dal fatto che proprio quelle piattaforme che sembravano portare ovunque la libertà sono oggi controllate dai grandi capitalisti dell’informazione succeduti a quelli della finanza, come questi ultimi si erano sostituiti a quelli dell‘industria.
Un altro pericolo assai concreto è che noi ci lasciamo intrappolare dagli schermi (e dagli schemi) da cui la vita digitale è intessuta. Questi schermi ci affascinano enormemente tra l’altro proprio perché rimandano immagini molteplici, „plurali“ (frammentarie e talora frammentate) di noi e degli altri. In realtà di questa molteplicità del nostro io ci avevano già dato conto la letteratura moderna e la psicoanalisi. Negli schermi dell‘attuale società digitale vediamo riflessa una molteplicità e contraddittorietà che la psicoanalisi ci aveva già da tempo mostrato e una interconnessione che le neuroscienze ci riconfermano ogni giorno. Così però come gli specchi non sono causa ma piuttosto riflesso di vanità né sono responsabili per la molteplicità delle immagini che riflettono, neanche gli schermi della nostra civiltà digitale sono causa della nostra molteplicità, essendone piuttosto riflesso. Essi potrebbero dunque offrirci lo spunto per riflettere sulla nostra molteplicità e contraddittorietà e aiutarci così a divenirne consapevoli. Mai così chiaramente come oggi possiamo vedere riflesse sugli schermi dei social media le nostre proiezioni! Sulle nostre pic e sulle nostre bio proiettiamo le nostre malcelate aspirazioni, sugli scambi dei social media proiettiamo i nostri sogni ad occhi aperti, i nostri desideri più o meno inconsci, ma anche i nostri impulsi passionali ed aggressivi. I social, come avevo già scritto , sono delle onnipresenti nuvole in cui vediamo quello che noi vogliamo vedere, quello che vorremmo essere e che vorremmo gli altri siano. Altrimenti detto, i social media sono delle macchie di Rorschach sempre a disposizione sulle quali proiettiamo le nostre ansie, i nostri desideri, i nostri impulsi, le nostre anime. Non è possibile comprendere la dinamica dei social senza questo concetto prettamente psicoanalitico della proiezione. Sui social nutrirò inoltre la speranza più o meno conscia che qualcuno mi riconosca, si interessi a me, alla mia rabbia o alla mia gioia, la rispecchi o quantomeno si metta in relazione con me anche se solo per mandarmi al diavolo. Anche per questo, come si diceva prima “nell’ecologia dei media non sono importanti tanto i singoli messaggi quanto le relazioni tra le persone e le loro menti, i messaggi e i loro contesti. “
Proprio per questo è necessario divenire consapevoli che “l’ecologia dei media è il messaggio” ma anche che le nostre proiezioni ne sono il veicolo e le nostre interconnessioni il substrato biologico. Come scrive ancora De Biase “i racconti che la mediasfera consente di sviluppare sono essenziali al processo di adattamento che serve a vivere nella nicchia eco-culturale esistente. Ma possono aiutare a modificarla, quella nicchia, quando creano consapevolezza profonda del contesto, delle strutture, dell’ambiente, dei media, delle forme dell’organizzazione della conoscenza, nello spazio e nel tempo.” Forse per deformazione professionale tendo a credere che il punto di partenza della consapevolezza sia individuale, nasca proprio dal vedere riflessa nello specchio e nello schermo dell’altro un’immagine diversa da quella che io mi ero immaginato. Da questo scarto, da questa delusione che può anche divenire, tramite un dialogo imprevisto, sorpresa, può nascere la consapevolezza. Perché ci possiamo trasformare da utenti in attori è tuttavia necessario che la consapevolezza, “da individuale, diventi condivisa e sociale e, da sociale, si trasformi in azione politica”. (Stefano Epifani, Sostenibilità digitale).