Un mio caro amico sostiene che quanto più complesse sono le questioni oggetto di studio, tanto più decisivo è porsi la domanda giusta. Altrimenti, lui dice, si rischia di fare la fine degli scienziati di “Guida galattica per gli autostoppisti”, che dopo aver costruito un supercomputer (dall’evocativo nome Pensiero Profondo) ed aver aspettato sette milioni e mezzo di anni, perché lo stesso supercomputer potesse rispondere alla domanda da loro posta „sul senso fondamentale della vita, dell’universo e, insomma, di tutto quanto“, si sentono dire dallo stesso computer che la risposta è „42“. Di fronte all’incredulità degli scienziati il supercomputer aggiunge „Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda“.
La mia domanda riguarda l’efficacia degli antidepressivi e la risposta mi auguro sia un po‘ più utile, certo più prolissa, del „42“.
L’efficacia degli antidepressivi: un evergreen
La questione dell‘efficacia degli antidepressivi così come del loro meccanismo d‘azione è un evergreen della psichiatria da quando (1957) il primo antidepressivo l’imipramina venne (casualmente) scoperto dal ricercatore svizzero Kuhn – che stava cercando in realtà un farmaco contro la schizofrenia – e messo in commercio con il nome di Tofranil nel 1958. L’efficacia degli Antidepressivi (AD) è stata ora nuovamente messa in discussione da uno studio
pubblicato su Molecular Psychiatry il 20 luglio 2022 e che sta ancora facendo il giro dei pazienti. Prendendo in considerazione molteplici studi e meta-analisi lo studio citato giungeva alla conclusione che
“Le principali aree di ricerca sulla serotonina non forniscono prove consistenti dell’esistenza di un’associazione tra serotonina e depressione e non supportano l’ipotesi che la depressione sia causata da una diminuzione dell’attività o delle concentrazioni di serotonina.”
Il ché peraltro, in ambito psichiatrico, era noto da tempo. La storia dei ridotti livelli di serotonina come causa della depressione – come scrive Shayla Love – è appunto una storia, una delle tante riduzionistiche semplificazioni in un contesto complesso quale quello della salute mentale. Anche in questo campo lo storytelling sembra essere divenuto molto più importante della verità scientifica sottostante perché si presta ad una facile memorizzazione e a una comprensione schematica di una realtà molto più complessa. Molto più facile per tutti, case farmaceutiche, medici, e pazienti, trasmettere il messaggio che la depressione è dovuta ad uno squilibrio chimico organicamente determinato e chimicamente risolvibile.
La semplificazione del messaggio si trasforma però in un boomerang quando uno studio come quello di Molecular Psychiatry dimostra la precarietà dei presunti assunti di partenza. Con lo stesso semplicismo lo studio di Molecular Psychiatry, che non ha studiato gli antidepressivi, è stato portato a dimostrazione del fatto che gli antidepressivi sono inefficaci, riportando in auge vecchi studi che dimostrano un’efficacia degli antidepressivi non molto superiore a quella del placebo. Come al solito, quando argomenti scientifici vengono branditi come armi d’offesa o di difesa, anziché una discussione scientifica, ne nasce una guerra tra tribù, che si aggregano per solidarietà di categoria. Così a fianco dei farmacologici, si sono schierati gli psichiatri e dalla parte dei biologi molecolari, psicologi, psicoterapeuti e purtroppo anche qualche stimato psicoanalista con argomentazioni tutt‘altro che inoppugnabili. Dall’efficacia degli antidepressivi la questione è facilmente scivolata all‘eccessiva prescrizione di AD, alla presunta pretesa facilità o velocità con cui i pazienti vogliono essere guariti o rispettivamente curati, alle ampie lacune del Sistema Sanitario Nazionale in tema di salute mentale e insomma alle domande sul senso fondamentale della vita. Intanto i pazienti depressi, che già sono insicuri e indecisi a causa della depressione, si domandano perché dovrebbero trangugiare medicine che hanno sicuramente effetti collaterali ma che non ne avrebbero di positivi.
È allora il caso di porsi la domanda giusta: funzionano gli antidepressivi? Sì. Lo spiega bene un lungo articolo di un collega che sgombra appunto in partenza il campo da altre domande
L’affermazione che gli antidepressivi non hanno un’efficacia clinicamente significativa è diversa dall’affermazione che gli antidepressivi sono sovra-prescritti, o dall’affermazione che gli effetti avversi degli antidepressivi sono stati storicamente poco riconosciuti, o dall’affermazione che i trattamenti psicosociali dovrebbero essere prioritari rispetto al trattamento farmacologico per il paziente medio.
La domanda è invece se gli AD siano efficaci nel trattamento della depressione. Qui la risposta è chiara: sì.
“Gli antidepressivi superano il placebo negli studi clinici randomizzati in modo statisticamente significativo (cioè è improbabile che i risultati siano dovuti al solo caso). Ciò è stato confermato da una delle più grandi meta-analisi mai condotte, che ha incluso 522 studi clinici e 116.000 soggetti: “In termini di efficacia, tutti gli antidepressivi sono risultati più efficaci del placebo, con ORs compresi tra 2.13 (intervallo di credibilità [CrI] al 95% 1.89-2.41) per l’amitriptilina e 1.37 (1-per la reboxetina”. Questo risultato è stato dimostrato in numerose altre meta-analisi e non è di per sé oggetto di controversia.”
Il punto della controversia
Il punto della controversia sta però nella relativamente limitata differenza tra AD e placebo nell’efficacia. Se cioè gli antidepressivi sono clinicamente efficaci, perché una differenza di soli 2 punti rispetto al placebo?
Vi sono 3 argomentazioni di fondo per rispondere correttamente alla domanda e realizzare che tale presunto limitato scarto è tutt’altro che modesto.
Inglobando tutti i tipi di depressione, anche quelle lievi, destinate a risolversi facilmente per conto proprio, si riducono le differenze di risposta. Prendendo invece in considerazione le forme più gravi e diverse categorie di depressione il confronto tra efficacia degli AD e del placebo è molto più evidente
“In the recent Stone et al. 2022 analysis of antidepressant trials in the FDA database, 3 trajectories of response patterns were found, with average HDRS-17 score reductions of 16.0 (large response), 8.9 (nonspecific response), and 1.7 points (minimal response). Compared to placebo, antidepressant treatment was more likely to show large responses (24.5% v 9.6%) and less likely to show minimal responses (12.2% v 21.5%).”
La scala della depressione impiegata non è la più adatta a segnalare l’efficacia degli antidepressivi contenendo item molto diversi tra loro alcuni dei quali riferiti al sonno o a sensazioni corporee. Inoltre, con il passare del periodo di trattamento il divario tra efficacia degli AD e placebo aumenta a favore dei primi
Se si confronta infine l’efficacia degli AD con quella della psicoterapia si ottengono risultati praticamente sovrapponibili. Numerosi studi hanno infatti paragonato il trattamento antidepressivo con la psicoterapia manuale a breve termine (di solito la terapia cognitivo-comportamentale ) e i risultati sono piuttosto chiari in tutti gli studi: sia l’antidepressivo che la psicoterapia manuale a breve termine hanno gli stessi effetti sulle scale di valutazione della depressione e la combinazione di entrambi è superiore al trattamento singolo (cioè solo con AD o solo con psicoterapia) come dimostrato da questa meta-analisi di Cuijpers et al. 2020 per cui
“chiunque sia fermamente convinto che gli antidepressivi siano marginalmente efficaci è anche costretto ad accettare che la psicoterapia manuale a breve termine, che costituisce la maggior parte delle prove RCT per la psicoterapia, sia anch’essa marginalmente efficace nel trattamento acuto della depressione.”
Concordo dunque pienamente con le conclusioni del collega
“È deplorevole che si spendano così tante energie e tempo a discutere se gli antidepressivi “funzionano” o “non funzionano”, quando invece si potrebbe dedicare tempo ed energie a esaminare il posto appropriato degli antidepressivi nel trattamento clinico della depressione, come personalizzare il trattamento e come utilizzare e migliorare l’accesso agli interventi non farmacologici.”
La domanda giusta è dunque a mio avviso come e quando usarli inserendoli all’interno di una terapia integrata che non può prescindere dal rapporto tra paziente e terapeuta che si sviluppa nel corso del trattamento.
Immagine tratta da ISSalute Farmaci antidepressivi