Se la mente viene bandita e le emozioni prevalgono

La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, di una scintilla che la accenda, che vi infonda l’impulso alla ricerca e il desiderio della verità.
Plutarco

Il programma televisivo Noós, mente, di Alberto Angela è stato, come si sa, temporaneamente sospeso dalla RAI, “per non umiliarlo troppo – scrive Aldo Grasso sul Corriere – di fronte agli ascolti di «Temptation Island”, che ne faceva quasi il triplo. Non intendo commentare la decisione né i programmi, che non ho visto. Mi chiedo piuttosto se la sospensione della mente a favore delle emozioni non sia la metafora di una fase socio-culturale che stiamo vivendo.

Fase storica 


Certo, la sostituzione di un programma televisivo non fa una fase storica né si può dire che la razionalità della mente umana sia stata molto riconoscibile nelle fasi storiche precedenti. Eppure i segni di una prepotente rivincita di emozioni, tutt’altro che gioiose, sulla razionalità sono oggi molteplici ed evidenti. Mi si obietterà che ogni epoca è caratterizzata da emozioni, quella dei baby boomer ad esempio, da un’euforia che con il senno di poi ci appare immotivata, fatua sé non addirittura irrazionale. Non è dunque la connotazione emotiva di per sé l’eventuale particolarità della nostra fase, quanto piuttosto l’intensità e la coloritura, decisamente cupa, della stessa.


La percezione misura d’ogni cosa 


Anzi, proprio l’attenzione data alla percezione emotiva degli avvenimenti, dunque ai vissuti soggettivi, è una delle caratteristiche peculiari della nostra epoca, in cui non contano tanto i fatti, quanto appunto come essi vengono percepiti ed elaborati emozionalmente dai soggetti. Sappiamo, dovremmo sapere tutti/e che sovrastimiamo in Europa, ed in Italia in particolare, le dimensioni dell’immigrazione rispetto ai dati reali, ma pur sapendolo, continuiamo bellamente ad ignorare i dati reali e ad agire in base alle nostre impressioni emotive. Dovremmo maggiormente preoccuparci dell’emigrazione dei nostri/delle nostre giovani nonché della denatalità ma tendiamo invece a rimuovere questi temi perché sgradevoli e così via per mille altri aspetti rilevanti della nostra società.


Clima di cupa tensione 


È inoltre difficile confutare il fatto (o si tratta solo di una percezione?) che pandemie, guerre, cambiamento climatico, drammatiche incertezze economiche, lavorative e sociali hanno creato e continuano a creare un clima di tensione, preoccupazione, paura, rabbia e spesso anche di panico e di odio, di cui i social vengono spesso sbrigativamente ritenuti causa, anche se ne sono piuttosto segno – senza peraltro con ciò voler negare il dato di fatto di un contagio emotivo via social. Ciò che è significativo non è l’emozione in sé e per sé ma il carattere estremamente intenso e dunque trascinante delle emozioni attuali, quali quelle della paura, della rabbia, dell’invidia, del risentimento fino alla spirale dell’odio. Emozioni d’altro canto che vanno di pari passo con il peggioramento obiettivo dei parametri sociali, economici ed ecologici.

 

La scomparsa del prossimo 

 

Se, come scriveva già qualche anno fa, lo psicoanalista Luigi Zoia abbiamo assistito alla morte del prossimo, abbiamo inevitabilmente assistito anche al venir meno dei sentimenti caritatevoli nei suoi confronti e al prevalere invece di emozioni e sentimenti decisamente più ispirati all’interesse personale, all’egoismo, all’aggressività. Non è moralistica svalutazione del presente ed ingenua idealizzazione del passato, tutt’altro che indenne da gravi colpe. Si tratta piuttosto di constatare come nell’esaltazione dell’efficienza produttiva e finanziaria siano stati rivalutati e idealizzati sentimenti ed emozioni a forte valenza aggressiva nei confronti dell’altro, sia esso il soggetto o il paese straniero.


Psicopatia aziendale 


Zoja nel libro già citato descrive i risultati di una branca in espansione della psicologia aziendale: la Corporate Psychopathy, la psicopatia aziendale. Diversi studi hanno evidenziato che manager di successo e criminali condividono alcuni tratti di personalità. In particolare quello che i due gruppi avrebbero in comune sarebbe un’immoralità non visibile e dunque ancora più pericolosa. Quello che differenzia gli uni dagli altri sarebbe invece l’aggressività diretta ed immediata presente nei delinquenti incarcerati ma non nei manager psicopatici di grande successo. Zoja commenta così: “L’accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l’emer-
gere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti.
Questa «selezione culturale» ripropone, nella vita economica quotidiana una strozzatura attraverso cui un flusso pacifico diventa un
getto aggressivo” riproponendo, a suo avviso, quanto già era accaduto nel grandi rivolgimenti politici (scivolamento dei nazionalismi in fascismi, rivoluzione russa, cinese, disgregazione della Iugoslavia con rinazionalizzazione dei comunismi).
Non è certo difficile farsi venire in mente i nomi di manager e politici di successo che sembrano possedere tutte le caratteristiche degli psicopatici di successo. Non è neppure un caso che essi più di altri cerchino di fare presa proprio su emozioni e sentimenti più dividenti, corrosivi e distruttivi quali paura risentimento, invidia ed odio.



AI ed emozioni 


Apparentemente la nascita e la rapidissima ed esorbitante crescita della AI sembrerebbe in pieno contrasto con le tendenze emozionali ed irrazionali appena tratteggiate. Eppure non è difficile immaginare che una delle principali motivazioni, accanto naturalmente a quella economica, per lo sviluppo della AI sia proprio il tentativo di far fronte ai danni dell’emozionalitá e dell’impulsività attraverso una tecnologia, il più razionale possibile, anche se non dotata di intelligenza, una sorta appunto di noos artificiale. A sua volta la AI viene fatta oggetto di campagne di svalutazione o addirittura di demonizzazione proprio da coloro che fanno delle emozioni più radicali la loro bandiera. Anche in questo caso anziché argomentare razionalmente, pacatamente, i detrattori della AI usano toni millenaristici come se l’AI Ci rubasse, con l’intelligenza anche l’umanità. Forse varrebbe la pena che ci domandassimo a quale umanità vorremmo mettere a disposizione l’AI: a quella degli psicopatici di successo o a quella che sa ancora riconoscere il prossimo?