La crisi della salute mentale dei/delle giovani. (3) Cosa fare?

Negli articoli precedenti abbiamo visto che la salute mentale dei nostri ragazzi e ragazze sta peggiorando in modo preoccupante da due decenni. Complessivamente i disturbi mentali sono oggi responsabili di almeno il 45% dell’onere complessivo delle malattie nei soggetti di età compresa tra i 10 e i 24 anni e sono tra le principali cause di disabilità in questa fascia d’età. Il suicidio rimane la quarta causa più comune di morte per le persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Le cause del peggioramento, come indicato anche dalla più volte citata The Lancet Psychiatry Commission on youth mental health , sono verosimilmente complesse. I/le giovani non vengono solo danneggiati da un uso troppo precoce e prolungato dei social media ma anche da molti altri fattori. Loro vivono e soffrono, in modo particolarmente accentuato, le trasformazioni cui è andata incontro la nostra società negli ultimi decenni, quali: la globalizzazione, il neoliberalismo e la conseguente crescente disuguaglianza; il grave deterioramento dei diritti dei lavoratori più giovani; la sempre maggiore pressione per raggiungere risultati accademici; le sfide dell’intelligenza artificiale per le aspettative future in ambito educativo e lavorativo; i pericoli e le conseguenze del cambiamento climatico.

Cerotti 

Abbiamo inoltre constatato che, a fronte di questa grave crisi, di cui conosciamo entità e tragiche conseguenze, i/le giovani hanno spesso a disposizione solo “cerotti”. Vengono offerti loro pochi, pochissimi reparti, pochi terapeuti, scarsi e ritardati trattamenti, ancora più scarsa prevenzione delle recidive (solo il 2% del budget sanitario globale è dedicato alla salute mentale e, anche nei Paesi più ricchi, viene fronteggiata meno della metà dei bisogni dei/delle pazienti.)

Cambio di paradigma 

Aldilà dell’aumento delle risorse economiche ed umane – che sarebbe un provvedimento fin troppo ovvio, che però non viene preso – la Commissione Lancet propone anche un cambiamento di registro nell’approccio al malessere e ai disturbi dei/delle giovani.
Quello che la commissione scrive, in modo molto preciso ed accurato ma forse anche un po’ complicato per chi non è addetto ai lavori, è quello che io come clinico, e credo molti altri colleghi/e e terapeuti/e con me, riscontro tutti i giorni. I giovani e le giovani-che io vedo solo a partire dai 18 anni-non sviluppano la depressione, la schizofrenia, il disturbo alimentare, l’autolesionismo (tagliarsi) eccetera. Ciascuno di loro sta male a modo proprio, un modo che dipende dalla loro personalità, da quello che hanno vissuto in famiglia, nella scuola, nel gruppo dei pari e nella società e da mille altri fattori. Inoltre questo personale modo di stare male non è fin dall’inizio un disturbo che si può classificare nelle solite categorie che piacciono tanto a noi psichiatri. All’inizio il giovane/la giovane manifesta il proprio malessere in forma spesso piuttosto vaga e variegata, ad es. non riuscendo a dormire bene, mangiando troppo o troppo poco, sentendosi più ansioso o più malinconico del solito, facendo più fatica nel rendimento scolastico oppure nel rapporto con compagni e compagne, o con il proprio corpo (dolori, disturbi funzionali) o con il sesso. Questo malessere diffuso, se non viene trattato e le sue cause non vengono risolte, tende a accentuarsi e a prendere tratti progressivamente più specifici che poi si traducono in quei disturbi caratteristici che noi psichiatri inquadriamo dentro le categorie diagnostiche del ICD 11 e del DS M5. Ma l’andamento di quell’iniziale malessere è tutt’altro che scontato. I sintomi iniziali possono trasformarsi a seguito di svariati fattori (l’influenza di un amico/a, difficoltà scolastiche, economiche, familiari). Spesso inoltre i disturbi mentali sono come le ciliegie, vengono più facilmente insieme che da soli.

Psichiatrese

Tutto ciò – che tradotto in psichiatrese suona “i sintomi emergono e si attenuano come microfenotipi, che in genere non seguono traiettorie chiare verso diagnosi discrete … le condizioni della fase iniziale hanno esiti pluripotenziali (più fasi finali) e l’eterotipia (spostamenti tra le categorie diagnostiche) e la comorbilità sindromica sono la norma piuttosto che l’eccezione“ – dimostra, se ce ne fosse bisogno, che la categoria diagnostica „schizofrenia paranoide ICD10 20.0“ esiste nella mia testa di psichiatra (e deve continuare ad esistere se io la voglio/devo riconoscere) ma che quello che ho davanti ai miei occhi è un ragazzo/una ragazza che sta male, in modo personale e unico, e che, quasi sempre, prima di far diagnosi devo accogliere quel ragazzo/quella ragazza come una persona unica di cui mi voglio prendere cura. Che tradotto, nuovamente in psichiatrese, fa così:“ La necessità di assistenza precede l’emergere di un quadro diagnostico tradizionale o di macrofenotipi tardivi. Questo approccio contraddice il fatto che i disturbi mentali costituiscano entità categoriali stabili, la cui forma viene mantenuta dall’esordio iniziale fino alla presentazione più tardiva e stabile, e mette in evidenza il limite degli attuali sistemi diagnostici, che rischiano di reificare i punti finali artificiali delle traiettorie di sviluppo.

 

Fluidità della malattia mentale 


Il ché vuol dire che la malattia mentale a questa età è fluida ed è quindi importante distinguere „tra stadi clinici iniziali (che si presume abbiano bassi tassi di progressione verso disturbi gravi, persistenti o ricorrenti) e stadi successivi (caratterizzati da alti tassi di persistenza, compromissione ed estensione della malattia)“. Ciò soprattutto al fine di ridurre al minimo la sovradiagnosi, il sovratrattamento e il sottotrattamento, cioè di fare diagnosi eccessive e di trattare troppo o troppo poco un/una paziente.


Come dire al ragazzo/alla ragazza che ha un disturbo psichico

A parte casi specifici, che esistono e vanno tenuti in considerazione, i ragazzi/le ragazze non hanno di per sé un problema grave a sentirsi dire che hanno, potrebbero sviluppare etc un disturbo psichico. Talvolta anzi, con la tipica smargiasseria adolescenziale ne vanno fieri. Altre volte invece se ne vergognano, talaltra si sentono in colpa per le sofferenze indirette che causano ai loro familiari e/o ai loro amici/amiche. In ogni caso, se confrontati con la necessaria franchezza e sensibilità dal terapeuta, prendono sul serio la cosa senza per questo farne „un dramma“. Spesso il dramma lo facciamo noi terapeuti, nascondendoci dietro giri di parole inutili e dannose e i genitori, che, come tutte/i sono aperti al dialogo e scevri da pregiudizi nei confronti dell’umanità. Poi tutti/e noi, genitori o no che siamo, capitiamo sotto la pressione dello stigma della malattia mentale, ritorniamo umani e abbiamo paura, sentendoci deboli ed incapaci, che è peraltro un buon punto di partenza per capire la sofferenza dei disturbi psichici.

Il viaggio dell’eroe

La specifica proposta della commissione Lancet – ispirata alla psicologia positiva e ancor più al concetto formulato dal filosofo Joseph Campbell – per parlare di disturbi psichici con ragazzi/e e le loro famiglie è quella di utilizzare la metafora del viaggio dell’eroe (da Ulisse a Harry Potter) alle prese con difficili prove. Le tappe del viaggio corrispondono infatti anche alle fasi del ragazzo/a alle prese con un disturbo psichico.
La chiamata all’avventura corrisponde alla transizione verso l’età adulta. Le prove dell’eroe sono le lotte che l’adolescente affronta durante questa transizione incluse appunto anche quelle con i propri malesseri e disturbi, spesso con l’aiuto di un adulto più anziano esperto. Raggiungere l’obiettivo si trasforma per l’adolescente nella realizzazione dei traguardi dello sviluppo. Il ritorno si traduce nell’adozione da parte dell’adolescente di nuovi ruoli da adulto all’interno della propria comunità mentre i cambiamenti cui dà luogo l‘eroe possono essere i contributi sociali positivi che l’adolescente riesce ad introdurre. La metafora del „viaggio dell’eroe permette anche – sottolinea la Commissione- di accettare e riconoscere il valore di un confine morbido o una soglia flessibile tra la salute mentale e la malattia mentale durante la lotta, consentendo alle persone con e senza bisogno di aiuto professionale di ridefinire la propria esperienza. Questa prospettiva conferma un ruolo per il sostegno non solo da parte della famiglia e della rete sociale che circonda il giovane, ma anche dei professionisti della salute mentale“ che diventano alleati dell’adolescente nella lotta per sconfiggere il malessere e realizzare i propri obiettivi.

Esigenze concrete 


Naturalmente la metafora dell’eroe non risolve il malessere del paziente né sconfigge i suoi disturbi. È solo un suggerimento per leggere e far leggere da un altro punto di vista, più positivo e corale, la lotta per l’affermazione della propria identità e la sconfitta del disagio. Per aiutare i nostri ragazzi, le nostre ragazze a sconfiggere i disturbi psichici servono cose molto precise e concrete, quali strutture psichiatriche adatte a ragazzi ragazze, un maggior numero di psichiatri psicologi educatori e infermieri, maggiori risorse economiche per fare opera capillare di informazione e di prevenzione e sui disturbi psichici, per offrire un trattamento precoce ed adeguato a tutti i ragazzi, tutte le ragazze che ne hanno bisogno, possibilmente senza aspettare che i sintomi raggiungano la gravità e la complessità di un disturbo psichico già cristallizzato. Bisogna inoltre assolutamente sfruttare l’aiuto della tecnologia e in particolare dell’AI. E tanto altro ancora che io da solo non riesco a dire/scrivere.

Una richiesta di aiuto 


Mi permetto dunque di chiedere se qualche collega terapeuta ma anche qualche genitore o insegnante o ragazzo/ragazza che ne abbiano esperienza diretta, mi volesse aiutare scrivendo un breve commento per indicare tre cose:
– Mie omissioni
– La priorità su cui puntare da ora in poi nell’accostarsi a giovani con disturbi psichici
– Una piccola cosa concreta che si può fare fin da ora  per migliorare l’assistenza a ragazzi/e con disturbi psichici
Grazie! In anticipo

  • Rosa |

    Caro Giuliano, poni domande molto complesse e di fronte al dilagare del malessere/disagio psichico dei ragazzi, credo ci sentiamo un po’ tutti disarmati e pieni di domande… Credo che il coinvolgimento di genitori e insegnanti (es. con gruppi di discussione/Balint) potrebbe aprire a psichiatri/psicoterapeuti un terreno di conoscenze e riflessioni importanti. I cambiamenti sociali, culturali così rapidi a cui siamo tutti sottoposti forse rendono insufficienti le “tradizionali”chiavi di lettura…

  • Daniela Gatelli |

    Da mamma ma soprattutto da adolescente che ha sofferto abbastanza, leggo finalmente che l’attenzione ai ragazzi è oggi cambiata. Ora però bisogna dare forma e forza a questo cambiamento.
    Bisogna esserci. Tutti. Genitori, terapeuti, tessuto sociale.
    Nel mio malessere ero sola. Completamente. Non capivo cosa fare. Ho dovuto aspettare l’età adulta e l’acume del mio malessere per comprendere di chi e di che cosa avevo bisogno.
    Ho iniziato un lungo percorso che oggi, finalmente, sta’ dando i suoi frutti.
    In qualche modo le persone preparate a cogliere i segnali dovrebbero affiancare i ragazzi/e e non è certo sufficiente uno sportello a scuola.
    Grata per aver portato questi temi in discussione che sono già perle che curano.

  • Roberto |

    Restringere l’espsizione a smartphone e social media, evitandone l’uso durante l’orario scolastico e nelke due ore prima del sonno.
    Assicurare min 7 ore di sonno al giorno e due sessioni di attivita’ fisica strenuante (>160bpm per 20min) al giorno

  • Giuliano Castigliego |

    Sono io a ringraziarla per la sua attenta osservazione e precisa riflessione.
    Se da una parte è comprensibile il desiderio di giungere ad una diagnosi che si immagina risolutiva e foriera di adeguata terapia e conseguente guarigione, è pericoloso farne un feticcio. Il rischio è appunto quello di non vedere il disagio dell’adolescente nella sua persona. Sono l’ascolto attento e l’osservazione sensibile ed appassionata a rilevare le spie del malessere e della sofferenza. La diagnosi e la terapia sono compito del professionista, cui però l’adolescente non arriva se manca questa prima decisiva fase di ricerca di contatto e dialogo

  • Monica |

    Sono a contatto quotidiano con la sofferenza psichica degli adolescenti sia come madre, sia come insegnante. La priorità che mi sento di individuare nell’accostarsi ai giovani con disturbi psichici è quella di liberarli dalla gabbia identitaria legata al disturbo (reale o presunto), che talvolta deriva da una superficiale informazione tramite social o rete. Sento spesso gli alunni definirsi con il verbo essere: “io sono DSA, io sono ADHD, io sono bipolare, etc…”. mentre credo che sostituire “essere” con “avere” potrebbe aiutarli ad uscire dalla gabbia per esplorare l’universo dentro e fuori di loro. L’ansia di trovare un modo per aiutare un/una adolescente con disturbo spinge poi gli adulti, a diverso titolo coinvolti nella relazione, a cercare il colpevole. Un’informazione più strutturata e capillare nelle scuole e nella società (attraverso tutti i mass media e i social) credo sarebbe di grande giovamento, rendendo pubblico un discorso sulla salute mentale che ancora oggi è confinato nella sfera privata, tra segreti e bugie. Grazie per il prezioso lavoro di divulgazione e condivisione.

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