Mi rendo conto che aprire una recensione con “leggetelo!” oltre a essere cosa né originale, né tantomeno elegante, possa suonare addirittura come un’offesa a un libro che riesce a descrivere il linguaggio in questi termini: “Questa luce che accendendosi ci rende oggetto visibile è il linguaggio. È il linguaggio a a rendere opaco il sé che guarda il mondo, trasformandolo nel primo pronome singolare, dando forma all’io.”
Il corpo
Se però devo tener fede alle sensazioni che il saggio ha suscitato nel mio corpo, quel corpo da cui il saggio parte e a cui sempre ritorna, in quanto “noi umani siamo un corpo e contemporaneamente abbiamo un corpo: questo in fondo è il busillis da cui partire”, se appunto devo prestar fede, come consigliatomi dal libro, alle percezioni e alle emozioni del mio corpo, non posso che esprimere la mia gioia per averlo letto e il mio desiderio, per empatia, – un’empatia che nel saggio viene preziosamente ri-conosciuta e ri-definita – di volerla condividere con altri lettori e lettrici.
La relazione
Proprio perché “noi siamo corpo-cervello-mente in relazione” e “sono proprio la relazione e l’intersoggettività a fondare i processi di individuazione mediante i quali ognuno di noi diviene quello che è” , al punto che “persino la razionalità si esprime all’insegna della relazione” e, come scrive Bion,”un’esperienza emotiva avulsa da una relazione e da un contesto è inconcepibile”. Ecco, se dovessi cercare un’analogia per questo libro, direi che è come la relazione, definita nel libro stesso come “quella esperienza che “tu non sai mai come va a finire”. Leggendo questo saggio non si sa mai come va a finire. Si può apprendere di straordinari studi sui movimenti in utero di coppie di feti gemelli, dai quali “si è scoperto che i movimenti diretti verso l’altro feto …sono più accuratamente controllati rispetto a quelli diretti altrove”. Il rispetto comincia dunque già prima della nascita e comincia a partire dal movimento.
Il paesaggio
Ma nella lettura ci si può perdere anche nel paesaggio,, definito come “lo spazio della nostra vita” che “emerge al punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno con la mediazione del movimento e del principio di immaginazione”.
Il movimento
Forse il filo conduttore del libro è proprio il movimento, un movimento intelligente: da quello fetale (“già dotato di coordinazione anticipatrice: quando il feto si succhia il pollice, la bocca si apre in anticipo rispetto all’arrivo del pollice”) a quello di avvicinamento che avvia la relazione e di cui la relazione è costituita, trattandosi di una perenne alternanza tra un andare verso e un allontanarsi da. Per non parlare dell’omeostasi che è appunto la capacità di movimento e scambio tra interno ed esterno. Anzi il movimento è proprio il primum movens, del libro e di tutto, poiché “sappiamo con sempre maggiore evidenza che le cosiddette parti motorie del cervello sono parte integrante degli apparati che ci permettono di riconoscere quello che c’è attorno a noi, dagli oggetti inanimati, al modo in cui mappiamo lo spazio, al senso che diamo alle azioni e alle esperienze altrui.”.
La mancanza
Ma forse quello che mi affascina di più di questo libro è quello che manca. Perché “La mancanza è ciò che non siamo ancora: scopriamo che la mancanza è anche l’utero del possibile. Quello che in fondo siamo, lo siamo già. È quello che ci manca e che riusciamo a concepire che ci proietta verso ciò che non c’è ancora e che non siamo ancora.” Ecco, “Cosa significa essere umani?” di Vittorio Gallese e Ugo Morelli, Raffaello Cortina Ed. ci proietta verso ciò che non c’è ancora e che non siamo ancora.