„Mai avrei immaginato di provare quel tipo di desiderio.… Forse non si trattò di un vero e proprio desiderio bensì di una chiamata. Fece breccia nella mia proverbiale propensione alla solitudine. Una voce si affacciò: la sua. Aveva le fattezze di una bambina. La battezzai Da, perché nel mio paese significa sì.” …aveva compreso che il cielo non era nient’altro che una specie di carta da parati, una membrana sulla quale si susseguivano il sole e la luna, le nuvole e le stelle. E dietro c’ero io: la Tigre. O piuttosto la Madre di tutte le tigri”.
Così dal grande abete siberiano in cui aveva la sua tana, la Tigre, che la bambina chiamerà Surava, viene catapultata su un banco di scuola e poi sul pavimento di un’aula scolastica, nella quale il 10 marzo del 1972 una bambina miope, con la coda di cavallo, ossessionata dall’origine delle cose, sta scrivendo di lei, della tigre, che lo scopre compiaciuta (“La cosa, lo ammetto, mi fece un certo piacere”)
Con questa modalità fiabesca, simbolica ed ironica insieme, prende avvio il romanzo d’esordio di Wanda Luban (Alter Ego Ed ) in ordine cronologico, stilista, giornalista e psicoterapeuta jungiana.
Tigre e sciamanesimo
La tigre, figura simbolica ricorrente nello sciamanesimo, simbolo di forza, ma anche di protezione e connessione con il mondo spirituale, di intermediazione tra il mondo umano e quello divino, e ancora manifestazione fisica degli spiriti ancestrali, diviene “maestra d’iniziazione” della bambina, l’accompagna amorevolmente, la protegge nelle sue disavventure e la conduce amabilmente verso una maggiore consapevolezza.
Realtà psicologica e storica
Seguendo Da e Surava veniamo anche noi catapultati in una realtà che è psicologica, storica, onirica e simbolica insieme. In questo viaggio ci troviamo confrontati con i conflitti puberali di una bambina con i genitori, la sorella, la violenza e l’ingiustizia della vita, l’ottusità di uno psichiatra, le imposizioni della religione (“dell’Appeso”). “Trascorse giorni e giorni in lacrime, in ginocchio sopra il divano di cuoio, aggrappata al collo del cervo, a tu per tu con il disegno brunito delle sue biglie oculari… Per una settimana Da rispose solo a monosillabi alle domande del nonno (che poi) le si sedette accanto e le disse “anche le tigri cacciano e non per questo sono cattive”. “Fu così che Da lo perdonò”. Nei viaggi nel tempo e dello spazio di Da e Surava incontriamo anche le contraddizioni e le falsità di una regione periferica al confine tra Italia e Svizzera e la storia di una famiglia che ha le sue radici nell’ebraismo russo e nelle tragedie di quest’ultimo nonché di quello polacco. “ Vaclav si alza dal letto e si reca in Comune. Ha deciso: cambierà il cognome in Schneider che, in tedesco, significa sarto. In questo modo ritiene di non tradire né gli avi né i sarti… L’avvocato Schneider torna a Cracovia. I suoi genitori sono morti, milioni di donne, uomini e bambini sono stati deportati, le bottighe sono chiuse. Il pozzo del quartiere è stato cementato“.
Dimensioni onirica e simbolica predominanti
Ma sono soprattutto la dimensione onirica e simbolica a connotare il romanzo, sostenute da una scrittura creativa, metaforica, associativa potente. “Le parole sono intenzioni… Estendono i loro arti in ogni direzione, arpionano pesci volanti, come quando la madre di Da le si sedette di fronte, dicendole: “ascoltami”. Le parole sono tensioni tra suoni e lettere, tra pesci sul filo del bucato che sta fuori, dopo aver dimorato dentro, per millenni a volte, al buio nero, quello che fa paura ai bambini. Le parole si scrollano di dosso ciò che cresce. Si mostrano, si pavoneggiano, ondeggiano.” Le parole di Wanda Luban ondeggiano al ritmo dell’inconscio e dei suoi ancestrali archetipi, che trovano espressione in una vividissima fantasia: “nonna Sofia portava i capelli raccolti. Erano sottili come nidi di ragno, candidi, e talmente fini da formare una lanugine vicino all’attaccatura. Tant’è che, quando in quella cornice si impigliava una lama di luce, pareva che avesse l’aureola.”
Sogni ed archetipi
Non meno rivelatori sono i sogni dei protagonisti. “Come la mosca, anche Da viveva un saliscendi. Era infatti abitata da due sogni ricorrenti. Nel primo volava beata, nuotando a rana. Nel secondo scendeva le scale senza toccare i gradini, per poi svegliarsi di botto, con un tonfo, il vuoto in pancia, al contatto involontario con gli scalini. Notte dopo notte i due sogni si alternavano.” L’articolazione in sezioni del libro riprende le cinque fasi dell’opera alchemica (nero, cauda pavonis, bianco, citrinas, rosso) che “corrispondono a un processo, la cui meta è lo sviluppo della personalità che Jung chiama processo d’individuazione”.
Lasciarsi andare per ritornare alle origini
Per un povero analista freudiano come me, più avvezzo al rigore dell’ordine che alla creatività associativa jungiana, non è sempre facile orientarsi nel ricco ed intricato percorso narrativo che alterna, senza soluzione di continuità, il piano di realtà, la visione onirica, il dialogo interiore, il simbolismo dello sciamanesimo. Ma proprio nel lasciarsi andare alle associazioni semantiche, stilistiche e soprattutto emotive che il romanzo stimola nel lettore/lettrice credo consista il principale fascino di questo romanzo che ci riporta alle origini delle religioni e di noi stessi.