Finire tra gli escrementi è cosa umiliante, oltre che ripugnante. Lo è metaforicamente, quando si viene ingiustamente fatti oggetto di campagne di diffamazione o quando ci si ritrova in un clima generale di imbarbarimento quale quello che viene spesso denunciato sui social. Lo è a maggior ragione se ci si ritrova anche letteralmente tra gli escrementi, come è successo ad Andreuccio da Perugia, il protagonista di una celebre novella di Boccaccio.
Andreuccio da Perugia, i fiorini e il chiassetto
Trasferitosi dalla sua città natale a Napoli per acquistare e commerciare cavalli, dunque per fare affari, Andreuccio, che ingenuamente fa bella mostra dei suoi 500 fiorini d’oro, diviene ben presto oggetto di una truffa, il cui meccanismo sussiste ancor oggi anche se in forma tecnologicamente molto più raffinata. Una piacente giovane prima lo attrae senza fatica nella propria casa, poi gli rivela di essere sua sorella, colpevolmente dimenticata, così come la madre, dal padre di Andreuccio. Una volta ottenuto di farlo cenare e pernottare da lei, attende che si rechi nel chiassetto le cui assi ha fatto appositamente schiodare. Andreuccio, precipita di sotto, tra gli escrementi appunto. A questo punto non è difficile per la giovane impossessarsi dei suoi fiorini rimasti in camera da letto. Ma Andreuccio, dopo essere stato raggirato e derubato, usa la propria astuzia per volgere le situazioni successive a proprio vantaggio.
(Sesso), denaro e astuzia
La novella è dunque una perfetta sintesi delle dinamiche sociali e morali del Decameron, in cui, come rilevava un grande critico letterario, Vittore Branca, il sesso, il denaro e l’astuzia sono motori essenziali dell’agire umano. E a giudicare dalle dinamiche sociali e politiche dei nostri giorni sembra lo siano rimasti, anche se nel frattempo le truffe avvengono via Internet sulle piattaforme social o forse sarebbe meglio dire con le piattaforme.
Il rischio di un’oligarchia tecnologica
Non a caso nel suo discorso di congedo, l’ex presidente americano John Biden ha lanciato un monito chiaro e preoccupante: il rischio crescente di un’oligarchia tecnologica dominata da poche grandi aziende, capaci di controllare non solo il mercato, ma anche le dinamiche sociali, culturali e politiche del nostro tempo. Biden ha sottolineato come la concentrazione del potere tecnologico nelle mani di poche multinazionali rappresenti una minaccia non solo alla concorrenza, ma anche alla trasparenza e alla democrazia. “Oggi in America sta prendendo forma un’oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia letteralmente la nostra intera democrazia, i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali e la possibilità per tutti di andare avanti” ha detto Biden.
Il riallineamento delle Big Tech verso la destra americana
Anche il giornalista americano Alexander Stille, intervistato sull’Unità, evidenzia come i leader delle Big Tech abbiano intrapreso una pericolosa svolta strategica, spostandosi verso posizioni allineate con l’ex presidente Donald Trump. Secondo Stille, questa trasformazione è dettata semplicemente dal calcolo, dunque dal denaro e dalla (presunta) astuzia: le grandi compagnie tecnologiche cercano di ottenere crescita illimitata senza regolamentazioni.
Esempi concreti: Zuckerberg e Bezos
Mark Zuckerberg, CEO di Meta, ha abbandonato il controllo sui contenuti delle piattaforme, allineandosi alle posizioni della destra reazionarie. Le sue scelte mirano a favorire il potere politico che promette meno interferenze sulle sue attività
Jeff Bezos, proprietario del Washington Post, ha ritirato il sostegno a Kamala Harris e stanziato 40 milioni di dollari per un film su Melania Trump, segnando una chiara svolta verso il supporto alla destra.
Una strategia condivisa
Tutti i grandi leader delle Big Tech hanno sostenuto Trump attraverso donazioni massicce e presenze strategiche, come partecipazioni a eventi a Mar-a-Lago, con l’obiettivo di ottenere vantaggi legislativi. Trump, infatti, ha garantito un contesto di non interferenza governativa, promettendo di non “ficcare il naso” nelle operazioni aziendali.
La rinuncia al controllo e l’amplificazione dell’estremismo
È come se le Big Tech, che in passato avevano cercato di moderare i contenuti più estremi, o almeno avevano promesso di farlo, abbiano abbandonato ogni pretesa di responsabilità. Sostiene Stille: “Hanno detto chissenefrega. Hanno vinto quelli di destra, ci promettono di non interferire, quindi mettiamo i social a loro disposizione e moltiplichiamo a dismisura fatturati e potere.”
Il ruolo del Communication Decency Act
Il Prof. Epifani in un suo approfondito articolo su Wired, chiarisce come le piattaforme siano riuscite ad approfittare delle leggi statunitensi, in particolare della Sezione 230 del Communication Decency Act, per instaurare un vero e proprio monopolio dell’informazione. Questa legge, che equipara i social network agli operatori di telecomunicazione, deresponsabilizza le piattaforme rispetto ai contenuti generati dagli utenti. Sebbene in origine questa norma fosse pensata per favorire la crescita dei social media, oggi è diventata lo scudo dietro cui si nasconde la mancanza di controllo sui contenuti veicolati.
Le Echo Chambers
A questo si aggiunge, spiega Epifani, il fenomeno delle Echo Chambers: gli algoritmi, progettati per massimizzare l’interazione degli utenti, creano camere dell’eco in cui vengono mostrati solo contenuti che rafforzano le opinioni preesistenti. Questo meccanismo amplifica la polarizzazione, riduce la diversità di punti di vista e facilita la disinformazione.
Meta e la rinuncia al fact-checking: libertà o disinformazione algoritmica?
La recente decisione di Meta di rinunciare al fact-checking, sostituendolo con un modello basato sulle “community notes” simile a quello adottato da X (ex Twitter), apparentemente giustificata in nome della libertà di espressione, è in realtà, secondo Epifani, una forma di disinformazione algoritmica travestita da anarchia.
Questa decisione rappresenta una captatio benevolentiae nei confronti dell’ex presidente Donald Trump e del suo stratega Elon Musk. Zuckerberg, così come Musk, sta cercando di legittimare un modello in cui la responsabilità della verifica delle informazioni è apparentemente delegata agli utenti, ma in realtà gestita dagli algoritmi delle piattaforme.
In questo modo, la libertà di espressione rischia di diventare libertà di disinformazione, poiché gli algoritmi continuano a favorire contenuti che generano engagement, indipendentemente dalla loro veridicità. Il risultato è un ecosistema informativo in cui la verità diventa un’opzione, subordinata alla plausibilità percepita dagli utenti.
Una possibile via d’uscita: trasparenza e centri di calcolo accademici
Maria Grazia Giuffreda, Associate Director del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico (CSCS), propone una soluzione alternativa per contrastare l’oligarchia tecnologica: mettere a disposizione risorse di calcolo e algoritmi trasparenti, accessibili a tutta la comunità scientifica e al pubblico.
Il modello del CSC
Il CSCS si impegna a promuovere la collaborazione aperta e la trasparenza attraverso progetti che mettono al centro il progresso scientifico e non il profitto. Giuffreda sottolinea che le università, a differenza delle aziende tecnologiche, non sono vincolate da segreti industriali e possono garantire un uso etico dei dati e degli algoritmi. “Il punto non è mai stato di competere con queste grandi Big Tech, perché non c’è gioco: nessun’ accademia, nessun centro di calcolo federale può investire questo genere di risorse. Però quello che è assolutamente importante per noi è che la nostra esistenza permette di mantenere aperta la conoscenza: vale a dire quando noi mettiamo infrastrutture come Alps a disposizione della ricerca scientifica, noi facciamo in modo che si continuino a sviluppare modelli comprensibili, che sappiamo esattamente che cosa fanno e con dati trasparenti, il cui utilizzo è permesso
Questo approccio, secondo Giuffreda, rappresenta una possibile via d’uscita dal monopolio tecnologico delle Big Tech, offrendo un modello alternativo basato sulla condivisione e sulla responsabilità.
Una società capace di scegliere
Epifani insiste sulla necessità di “costruire un equilibrio tra la necessità di garantire a tutti la possibilità di esprimersi e quella di tutelare il diritto collettivo a un’informazione corretta.” E aggiunge “La tecnologia digitale ha trasformato il nostro modo di informarci, di comunicare, di vivere. Serve una riflessione profonda sul ruolo delle piattaforme e sulla responsabilità che queste hanno nel garantire un’informazione corretta.” Ci domanda infine “vogliamo un ecosistema in cui l’informazione sia governata da algoritmi che condizionano il nostro modo di percepire la realtà, o vogliamo un ambiente digitale che aiuti a costruire una società informata, consapevole e, soprattutto, capace di scegliere?
Andreucci nel chiassetto
Abbindolati dalla facilità e dalla piacevolezza con cui siamo stati attratti nei wallet gardens delle piattaforme che ci hanno dichiarato una frettolosa amicizia, ci siamo ritrovati anche noi, come Andreuccio in un chiassetto, naturalmente digitale dalle regole schiodate e siamo precipitati negli escrementi della peggiore cultura social? Se anche così fosse, non ci è di grande aiuto, così come per Andreuccio, lagnarsi, imprecare, invocare i bei tempi passati, la gran bontà de cavalieri antichi, quando i social non c’erano. Né più di tanto ci giova sostenere che i social sono il male, abolirli, vietarli, che sarebbe come vietare gli specchi perché siamo vanesi. I social sono un avvolgente Test di Rorschach su cui proiettiamo noi stessi, i nostri impulsi e le nostre paure, la nostra occasionale genialità e la nostra abituale stupidità. Divenire digitalmente consapevoli di ciò è il primo passo per liberarci dagli escrementi della polarizzazione e del complottismo e recuperare la consapevolezza e l’astuzia per combattere contro ogni oligarchia per la nostra libertà e la nostra democrazia.