Scrivere con ChatGPT o con la propria testa? Cosa ci dicono neuroscienze e umanità

C’è qualcosa di antico, quasi ovvio, che riaffiora dietro la sofisticata modernità dello studio pubblicato a giugno 2025 dal MIT e guidato da Nataliya Kosmyna. I titoli dei giornali si sono concentrati sull’effetto più sensazionale: “ChatGPT ci rende più stupidi”, “L’AI erode il pensiero critico”, “Scrivere con l’intelligenza artificiale spegne il cervello”. Ma se si osserva più da vicino la ricerca, si scopre che dietro l’innovazione metodologica si cela un concetto che le neuroscienze avevano già analizzato studiando la differenza tra pensare con la propria testa e… copiare.

 

Debito cognitivo 

 


Il valore dello studio del MIT è indiscutibile: l’uso dell’EEG per misurare la connettività cerebrale globale durante compiti di scrittura è una scelta tecnicamente avanzata. Kosmyna e colleghi hanno mostrato che affidarsi a un assistente AI per scrivere testi impegnativi riduce in modo drastico la connettività nelle bande alfa e beta, quelle legate al controllo esecutivo, alla memoria e alla creatività. Il concetto che ne emerge – il “debito cognitivo” è molto efficace – e sicuramente anche d’effetto: usare troppo l’intelligenza artificiale ci deresponsabilizza, spegne il coinvolgimento attivo, ci lascia con un contenuto che non ci appartiene davvero. Non a caso, solo il 17% di chi aveva scritto con ChatGPT ricordava il contenuto dei propri testi, contro l’89% del gruppo che aveva lavorato senza AI.


Il disegno dello studio

 

Vediamo più in dettaglio il disegno dello studio.Per indagare cosa accade nel cervello quando si scrive con o senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale, il team del MIT guidato ha organizzato un esperimento strutturato in quattro sessioni, ciascuna centrata su un compito di scrittura ben definito: la redazione di un saggio in stile SAT, cioè un breve testo argomentativo su un tema proposto, simile a quelli usati nei test di ammissione universitari negli Stati Uniti. Si tratta di un esercizio impegnativo, che richiede comprensione, riflessione critica e organizzazione coerente del pensiero.
I partecipanti — 54 studenti universitari — sono stati suddivisi in tre gruppi, ciascuno dei quali ha affrontato le prime tre sessioni in modo diverso:
Il primo gruppo ha scritto affidandosi solo al proprio cervello, senza usare alcun supporto esterno.
Il secondo ha potuto fare ricerche online, utilizzando Google o fonti simili.
Il terzo ha invece redatto i testi con l’aiuto di un assistente di intelligenza artificiale, come ChatGPT.
Durante queste sessioni, ogni partecipante veniva monitorato attraverso un sistema EEG a 32 canali, che registrava in tempo reale l’attività cerebrale, con particolare attenzione alla connettività nelle bande alfa e beta — associate a memoria di lavoro, attenzione e processi creativi. Alla fine di ogni prova, venivano somministrati anche brevi questionari per rilevare la percezione soggettiva dello sforzo cognitivo e il ricordo del contenuto prodotto.
Nella quarta sessione, gli sperimentatori hanno introdotto una variazione interessante: ogni partecipante ha cambiato modalità rispetto a quella utilizzata nelle sessioni precedenti. Chi aveva sempre scritto da solo ha sperimentato l’uso dell’AI, chi aveva usato ChatGPT ha dovuto fare a meno di qualunque supporto, e così via. Questa rotazione ha permesso di osservare come il cervello reagisce al passaggio da una modalità di scrittura all’altra, e se emergono effetti residui o difficoltà nel riadattarsi.

 

I risultati 

 

Riduzione della connettività cerebrale con LLM
I partecipanti che usavano ChatGPT mostravano una connettività ridotta del 25-50% nelle bande α e β rispetto a chi scriveva senza AI nonché minore attivazione nelle aree prefrontali, temporali e occipito-parietali, associate a memoria semantica, pianificazione e attenzione.

Memoria e senso di proprietà
Come già evidenziato, – te lo ricordi? 😉 – solo il 17% dei partecipanti del gruppo LLM ricordava in dettaglio ciò che aveva scritto, mentre nel gruppo Brain-only, l’89% ricordava correttamente parti del proprio testo. I testi prodotti con LLM erano inoltre giudicati più “generici” e “poco personali” dagli insegnanti.


Effetti del passaggio tra condizioni
Passare da LLM a scrittura autonoma causava un calo dell’engagement cerebrale, come se il cervello “facesse fatica a riaccendersi”. Al contrario, chi passava da scrittura autonoma a LLM mostrava un’attivazione simile al gruppo “search”, ma con meno coinvolgimento cognitivo complessivo.


Introduzione del concetto di “debito cognitivo”
Gli autori dello studio propongono pertanto l’idea che l’uso passivo di AI generativa produce un deficit cognitivo cumulativo: meno si attivano certe funzioni cerebrali, meno si è in grado di usarle in futuro, con rischio di dipendenza da strumenti esterni.


Copiare è copiare

 

Tuttavia, se spostiamo lo sguardo al di fuori dell’AI, questa dinamica non è nuova. Già una serie di studi neurofisiologici (Shah et al., , Beeson,  Baumann  ) avevano dimostrato che durante la scrittura creativa si attivano molteplici aree cerebrali: ippocampo, corteccia prefrontale dorsolaterale, area di Broca, lobi temporali e aree parietali. Quando si copia, invece, si attivano soprattutto circuiti visuo-motori. Si scrive, sì, ma con il pilota automatico. Lo studio del MIT lo conferma: l’uso dell’AI nella scrittura – almeno se passivo e non meditato – assomiglia alla copiatura, anche sul piano neurofisiologico.


ChatGPT come un Bignami 

 

In fondo, la domanda non è tanto “ChatGPT sì o no?”, ma se vogliamo usarla come un Bignami molto più sofisticato o come uno stimolo alla conoscenza e al ragionamento. Possiamo usare l’intelligenza artificiale in modo che ci stimoli e ci aiuti a pensare meglio. Ma possiamo anche lasciarci sedurre dalla scorciatoia della rapidità, sprecando la nostra intelligenza personale per copiare quello che un sistema non intelligente produce bruciando energia e risorse di tutti.

La musica suonata

All’estremo opposto del copiare – o del delegare passivamente alla macchina – sta l’esperienza della musica suonata. Svariati studi di neuroimaging, hanno mostrato che quando una persona suona, praticamente tutte le aree del cervello si attivano: motorie, visive, uditive, emotive, semantiche, esecutive. Il cervello è pienamente coinvolto. Si potrebbe dire che la musica – o qualsiasi esperienza creativa totalizzante – rappresenta il punto massimo di connessione tra le parti di sé. È esattamente l’opposto del “debito cognitivo”: è investimento neurale, è presenza piena.


Distruttività, imitazione e creatività


In un mondo che si trova sull’orlo della catastrofe ambientale, sociale nonché di quella bellica, è quanto meno singolare che siamo spasmodicamente preoccupati che una macchina ci renda più stupidi, eroda la nostra capacità critica, spenga il nostro cervello mentre noi lo utilizziamo per distruggere il pianeta, escludere i più deboli a favore dei più forti, armarci sempre di più, minacciare o addirittura avviare stragi e guerre. Come sempre,  la macchina diventa il capro espiatorio, il pericolo cui attribuire comodamente la colpa di una insensatezza che è solo nostra. Utilizzare ChatGPT come un Bignami, copiare acriticamente da qualcuno o da qualcosa è certo un’indubbia prova di stupidità. Lo è a maggior ragione imitare argomentazioni e comportamenti inumani o quanto meno privi di ogni umanità semplicemente perché oggi questa è la tendenza del momento. La banalità del male non è nelle macchine ma dentro di noi.

 

Suggerimento musicale: Arvo Pärt, Fratres