Con l‘apologia di cultura e ragione (Learning and reason) il direttore d‘orchestra e compositore L. Bernstein celebrava il 25 Novembre 1963 il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy ucciso tre giorni prima in un attentato. Bernstein prendeva spunto dalle parole che il presidente stesso aveva scritto per il discorso che non avrebbe mai più potuto pronunciare: : “America’s leadership must be guided by learning and reason.” Ispirandosi a quei due concetti Bernstein invitava gli artisti e tutti i cittadini a far proprio quel motto
the motto we here tonight must continue to uphold with redoubled tenacity, and must continue, at any price, to make the basis of all our actions
per sconfiggere il polo antitetico e cioè quello dell’ignoranza e dell’odio (ignorance and hatred) dai quali riteneva scaturisse la violenza. L’artista era talmente convinto della vittoria da aver eseguito con la sua orchestra quale tributo all’amato Presidente non un requiem o la marcia funebre dell’Eroica, come era ed è tradizione fare, ma la seconda sinfonia di Mahler, la Risurrezione. Per la risurrezione della speranza! di tutti coloro che piangevano quella morte.
A più di mezzo secolo da quella Sinfonia di Risurrezione viene spontaneo chiedersi cosa sia rimasto di quella speranza. Nell’ufficio di Kennedy siede ora un presidente cui forse la storia riconoscerà meriti attualmente invisibili ma difficilmente quelli di cultura e ragione. In Europa sono al potere Orban e Salvini e prosperano movimenti populisti, per lo più di estrema destra, esplicitamente razzisti. In molte altre parti del continente sembra profilarsi il successo delle cosiddette democrazie illiberali (Russia, Turchia, verosimilmente presto in Brasile). I fantasmi del rancore e dell’odio sembrano aggirarsi nella società e in ognuno di noi. Non è di per sé una novità, essendo la storia umana fatta, da sempre, di guerre e di violenze collettive ed individuali. Nuova sembra tuttavia essere la specifica forma dell’odio, il peculiare mix di risentimento per un benessere avvertito prima come a portata di mano e ora (percepito come) perso, allentamento dei freni inibitori nei confronti dell’aggressività e proiezione della stessa su fantomatici nemici ritenuti responsabili di quella perdita. Il tutto nel contesto di una società complessa, globalizzata, (iper)tecnologica, e iper-connessa.
Perché l’odio? il filosofo e psicanalista Strassberg – intervistato con altre personalità del mondo politico, giuridico e filosofico dalla radio svizzera tedesca SRF2 in una trasmissione sulla lingua dell’odio attuale – ha proposto spunti
interessanti, che cerco qui di sviluppare. Strassberg, precisato che l’odio è quella specifica forma di aggressività nella quale si desidera la distruzione di chi si odia, si rifà alla definizione di odio data da Spinoza: “Chi immagina che un altro lo odi senza avergli dato motivo d’odio, lo odierà a sua volta (proposizione XL della terza parte dell’Etica)”. L’immaginazione di essere odiati senza averne dato motivo provoca cioè in noi una tristezza che ci porta a contraccambiare l’odio. Fin qui Spinoza. La psicoanalisi ci consente di fare un ulteriore passo in avanti e di capire che tutto si svolge (può svolgersi) nella nostra mente, più esattamente nel nostro inconscio. Sono infatti io a gettare il dado immaginando che l’altro mi odi, anche se quest altro magari non lo conosco affatto o comunque non a sufficienza per poterlo affermare con certezza. Il razzista non conosce, né vuole conoscere, il nero, l’ebreo, l’arabo, il Rohingya, il migrante, il povero, l’omosessuale, il diverso. Il razzista è assolutamente convinto di venire odiato, per motivi etnici, religiosi, finanziari etc, dal diverso da lui e prima ancora di ogni possibile incontro lo odia al punto da volerlo far sparire dalla propria vista. Non diversamente, le classi medio-basse deluse da un sogno di benessere sfumato si sentono odiate dalle élite, rapaci e corrotte, e manifestano il loro odio in forme molto tangibili di devastazione (come le immagini odierne degli Champs-Elysées e tante altre dimostrano). La cultura dominante viene percepita come una minaccia per il proprio benessere e la propria stessa sopravvivenza (le multinazionali propagano i vaccini ad arte per guadagnare e vessare il popolo, gli economisti propalano dannose falsità, le istituzioni limitano e reprimono le libertà individuali e collettive…), tale cultura ufficiale viene pertanto odiata, combattuta e sostituita da una presunta contro-cultura alternativa, irrazionale e “magica” caratterizzata cioè da un pensiero in cui il desiderio diviene realtà ed il riscontro fattuale è percepito come antidemocratica imposizione. È “il trionfo dell’opinione sui fatti e del relativo sull’obiettivo” riassunto nell’ormai celebre “Questo lo dice lei”.
Attraverso meccanismi simili sono nati e si sono sviluppati i populismi attuali – cui il Guardian dedica un’apposita rubrica – definibili, secondo Cas Mudde , autore di The Populist Zeitgeist come
an ideology that considers society to be separated into two homogeneous and antagonistic groups, “the pure people” versus “the corrupt elite”, and which argues that politics should be an expression of the volonté générale (general will) of the people.
Cosa fare allora contro il risentimento, l’odio ed il circolo vizioso che porta al populismo? Come non lasciarci prendere né dal populismo ma neanche dall’arroganza di essere gli unici arbitri del populismo vedendo la pagliuzza populistica nell’occhio del vicino e non scorgendo la nostra trave narcisistica?
Smascherare le singole notizie false e tendenziose è certo doveroso. Ma è illusorio pensare che sia sufficiente a sradicare il sistema di pensiero populistico-paranoico, fondato appunto su un disturbo della percezione (convinzione di essere odiati, detestati, sfruttati) che affonda le sue radici in un profondo disagio emotivo: sentirsi non amati, maltrattati, calpestati. Un malessere che alcuni di noi hanno vissuto molto più intensamente di altri portandosi dietro, nascosto, represso, un risentimento pronto a scoppiare quando le circostanze esteriori lo favoriscono. Proprio su questo fanno leva i populismi proponendo, al momento opportuno, due facili messaggi tra loro collegati: il risentimento è legittimo, conseguenza del cattivo di turno che ci odia. La riscossa è doverosa, facile e vicina e consiste nell’immediato ribaltamento del sistema. Ogni mezzo on- e offline, onlife è a tal fine giustificato.
Le pulsioni aggressive, immediate, infantili e magiche (odio il diverso, la mia competenza è uguale a quella del primo ministro, la mia conoscenza pari a quella dello scienziato) non vengono più inibite, tenute a freno, controllate ma anzi stimolate. L’ostilità addirittura l’odio vengono sdoganati, non solo ammessi ma anzi fomentati ed incitati. Preoccupante diviene a questo punto il cedimento del potere a forme sempre maggiori di arbitrio e di violenza verso le figure assunte come causa del malessere e su cui riversare l’odio. Non meno preoccupante è però che tale aggressività contagi il dibattito nella vita quotidiana, sui mass media e social media, coinvolgendo anche chi si oppone al populismo, instaurando un clima di scontro aperto, di guerra senza esclusione di colpi in nome del populismo o dell’anti-populismo.
Come uscirne? Hegel, afferma Strassberg, suggerisce che per superare davvero l’odio sia necessario che ciascuno riconosca di essere dipendente dall’altro. Una riflessione splendida ma anche molto poco realizzabile, un cane che si morde la coda. L’odio nasce appunto, si potrebbe dire, per non dover riconoscere che ho bisogno dell’altro. Come posso pensare di riconoscerlo quando lo sto già odiando?
Non vedo magiche vie d’uscita. Torno ancora alla cultura e alla ragione ma anche alla ragionevole speranza di Bernstein che esse abbiano, prima o poi, la meglio sull’ignoranza e sull’odio. Forse proprio questa speranza e la possibilità di coltivarla nella nostra epoca digitale in una nuova dimensione plurale e collettiva è quello che “oggi ci avanza”. Un nuovo giardino non più solo privato. Non mi sembra poco.
Immagine: il grattacielo verde di Milano, fonte Wikipedia
Suggerimento musicale: Mahler, 2 Sinfonia, 1 Movimento