Giunto a fine anno, mi chiedo che parola portare con me nell‘anno nuovo.
Mia cugina, che non ha nulla a che fare con le reazioni avverse dei vaccini, mi aveva invitato a scrivere un elogio della superficialità. Ho però qualche perplessità sul concetto e mi manca il coraggio per farne il suo spudorato elogio. Alla leggerezza ha già intonato uno straordinario peana Calvino nelle sue lezioni americane e anche solo chiosarne le parole mi sembra pura arroganza . Alla frivolezza ha già provveduto, apprendo da Google, André Beaunier in tempi non sospetti.
Opterei allora, prima di lasciare inconcluso l’ultimo post dell‘anno, per la delicatezza. Bella forza, mi si dirà: è come far l‘elogio della virtù. Che sugo c’è? Eppure, mi sembra che la delicatezza abbia qualcosa da dire di molto originale, addirittura creativo ed innovativo anche in futuro.
Non mi riferisco alla sottile ipocrisia camuffata da delicatezza che induce le commesse svizzere a sorridere permanentemente, respingendo con la sola supponenza del sorriso le richieste più ingarbugliate ed insensate. Non parlo nemmeno della facile quanto codarda tendenza ad omettere le parti spiacevoli di un discorso per evitare di affrontare il conflitto con la persona che ci sta davanti. Questa è una paura che conosco molto bene, una sorta di sentimentalismo, come scriveva Dürrenmatt, che ci porta a indulgere ai sentimenti senza aver il coraggio di affrontare le loro conseguenze.
La delicatezza di cui parlo è animata dalla corretta percezione del proprio stato d‘animo e di quello altrui e sostenuta dalla consapevolezza delle nostre e altrui possibilità, dei nostri e altrui limiti. Se è vero, come scrive il neurobiologo Damasio in Feeling & Knowing che la storia di tutti gli esseri viventi si esprime nelle tre grandi fasi evolutive del being, feeling, knowing la delicatezza, secondo me, consiste nella capacità di percepire, in un attimo, nel contatto con un’altra persona, tutte e tre queste dimensioni. La delicatezza d’animo, che poi si traduce in delicatezza di espressione e di comportamento, significa per me condividere una comune patria umana accettare di confrontarsi sinceramente con i sentimenti altrui e agire nella consapevolezza delle reciproche diversità. Se ritengo di appartenere, per censo, tradizione, moralità o altro a un altro “pianeta” rispetto al mio interlocutore, lo riterrò alieno e come tale lo tratterò, con presuntuosa supponenza. Se non voglio aprirmi ai sentimenti altrui, ho paura di farlo perché potrei scoprirli troppi simili ai miei, la delicatezza mi farà paura mentre la lite più furibonda appagherà il mio desiderio inconsapevole di distanziarmi dall’altro. Se infine credo di poter fare a meno di “sentire” perché tutto si basa sul sapere, in cui eccello, non mi curerò in alcun modo di come si sente l’altro nel dialogo con me e il dibattito diventerà una pura prova di forza per dimostrare la mia potenza.
Viviamo in un periodo difficile, una coltre di tensione, paura e rabbia, grava su di noi, che lo vogliamo ammettere o no. Ognuno di noi ha individuato una qualche strategia per sopravvivere che sia l’evitamento di ogni notizia sulla pandemia, o al contrario la spasmodica ricerca di ogni dato per dimostrare la propria tesi, imporre la propria opinione, o infine la rassegnazione, triste, sconsolata o cinica che sia. La pandemia ha ridotto la nostra capacità di resistenza alle frustrazioni e ha fatto aumentare la nostra irritabilità. Sembra che la legge dell’evoluzione sia di nuovo più forte in noi e che non vi sia posto per la delicatezza. Eppure è proprio in questi momenti che ne abbiamo quanto mai bisogno. Per questo la delicatezza ci fa così paura, perché temiamo possa essere scambiata dagli altri per debolezza e noi per facili prede. “Sentire” e comunicare i nostri sentimenti ci espone certo al pericolo di essere feriti ma anche alla gioia della condivisione, al sostegno della solidarietà, alla scoperta della creazione di qualcosa di nuovo. Scrive Damasio nel suo libro già citato
The human experience of pain and suffering has been responsible for extraordinary creativity, focused and obsessive, responsible for inventing all kinds of instruments capable of countering the negative feelings that initiated the creative cycle.
[…]
Ultimately, we are puppets of both pain and pleasure, occasionally made free by our creativity.
Ecco perché credo che la delicatezza sia una forma di coraggio.
Buone Feste!
Immagine Angelus Novus, Klee