Silenzio! Silenzio… (silenzio)
Pochi segni di interpunzione – quegli stessi che #scritturebrevi di @FChiusaroli ci aiuta a capire e ci propone di adottare – ci aiutano a distinguere le caratteristiche del silenzio, o forse meglio sarebbe dire dei silenzi e delle risonanze emotive che essi evocano in noi. Silenzi di incantato stupore, di imbarazzata timidezza, di malcelata opposizione, di trepidante gioia, di estasi individuale o simbiotica… Sul rapporto con il silenzio si può scrivere la storia dell’umanità, che è anche la storia del silenzio ma anche della sua ciclica rottura e riscoperta, dalla nascita della musica, allo scetticismo dell’afasia pirroniana, alla mistica fino a Wittgenstein e oltre. Il silenzio e la solitudine sono intimamente e misteriosamente correlati al processo di apertura interiore che può preludere alla creatività. Per Kafka «scrivere significa aprirsi fino all’eccesso (…) Perciò quando si scrive non si è mai abbastanza soli, quando si scrive non si può mai avere abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco notte”. Il silenzio impronta delle sue molteplici valenze anche il rapporto dell’uomo con Dio. Se di fronte ai dolori della nostra vita e agli orrori dell’umanità gli rimproveriamo di stare nascosto e in silenzio, riusciamo a sentire Dio, ammesso che ciò sia possibile, solo nel silenzio. È il caso dell’incontro del Signore con Elia recentemente citato da Papa Francesco. Elia era sul monte e quando Lo vide passare «il Signore non era nella grandine, nella pioggia, nella tempesta, nel vento… Il Signore era nella brezza soave» (cfr 1 Re 19,11-13). «Nell’originale — dice Francesco — è usata una parola bellissima che non si può tradurre con precisione: era in un filo sonoro di silenzio. Un filo sonoro di silenzio: così si avvicina il Signore, con quella sonorità del silenzio che è propria dell’amore».
Al silenzio si ispirano paradossalmente ma non troppo diversi brani musicali contemporanei. Dal fortunato e un po’ abusato silenzio di Nini Rosso al Silentium di Alvo Pärt Ma il compositore che si è più profondamente occupato del rapporto tra musica e silenzio è certo Cage, autore di 4’33”
(1952), brano senza note per qualunque strumento musicale o ensemble. Lo spartito dà istruzione all’esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti (tacet).
I
TACET
II
TACET
III
TACET
Lo stesso Cage commentò così la prima esecuzione del brano:
“They missed the point. There’s no such thing as silence. What they thought was silence, because they didn’t know how to listen, was full of accidental sounds. You could hear the wind stirring outside during the first movement. During the second, raindrops began pattering the roof, and during the third the people themselves made all kinds of interesting sounds as they talked or walked out”.
Silenzio è anche il titolo del libro edito dalla Shake Edizioni nel 2012 , contenente testi di Cage che riflettono sul silenzio non solo “come risposta alla cacofonia di suoni che appartengono alla società industriale di matrice occidentale”… ma anche come parte essenziale della musica, così come il vuoto in architettura si contrappone al pieno e definisce lo spazio. Per Cage inoltre il silenzio, diviene “con quel suo preludere al suono, con l’esaltarne i caratteri più atipici,… il medium attraverso il quale aiutarci a percepire noi stessi”.
Silenzio dunque come possibilità stessa di distinguerci dall’indifferenziatezza dei rumori/suoni esterni e di percepire la nostra individualità.
Il silenzio in una stanza con soli sassi su cui annotare proprie riflessioni veniva provocatoriamente prescritto come terapia alle persone intossicate da troppa comunicazione nella quanto mai attuale mostra del 2012 “Comunicare nuoce” al museo della comunicazione di Berna. Lontana dal demonizzare la comunicazione, Internet, i social media, l’esposizione rendeva concretamente evidente la necessità dell’alternanza tra pieni e vuoti, tra parola ed ascolto, tra comunicazione e silenzi. Al di là degli utili e necessari filtri quantitativi e qualitativi che possiamo frapporre tra noi e il mondo (dei media), difficile è però far silenzio in noi stessi. Perché il silenzio ci fa paura. Lasciandoci sentire lo sferragliare dei nostri conflitti, i perturbanti rumori dei nostri abissi, i preoccupanti scricchiolii delle nostre fragilità. 4’33” di sofferenza sono talvolta maledettamente lunghi. Ma senza silenzio non c’è musica.