Chi si ricorda del povero Mohamed Bouazizi? È il giovane tunisino che si diede fuoco il 17 dicembre 2010 in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia. Il suo gesto innescò in Tunisia una rivolta tramutatasi nella cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini che si estese poi ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa.
A seguito di tale catena di rivolte, indicata anche come „primavera araba“, nel 2011, quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni, (in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali , in Egitto Hosni Mubarak , in Libia Muʿammar Gheddafi e in Yemen Ali Abdullah Saleh ) Allora si disse che Internet e i Social Network avessero favorito l’organizzazione o almeno la propagazione della rivolta.
Mahsa Amini è la povera ventiduenne iraniana, arrestata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo, deceduta, tre giorni dopo, il 16 settembre 2022 verosimilmente a seguito del pestaggio della stessa polizia. La morte della giovane ha innescato in tutto il paese la rivolta delle donne che sono scese in strada e per protesta si tolgono il velo e si tagliano i capelli chiedendo la fine della dittatura religiosa. Ancora prima che molti Mass media ne dessero notizia, le immagini della rivolta hanno cominciato a circolare sui social media.
Tragica scintilla
Credo si possa ragionevolmente sostenere che la morte di questi poveri due giovani sia stata la tragica scintilla che ha fatto scoppiare un fuoco di rabbia che covava da lungo tempo sotto la cenere rispettivamente allora nei paesi arabi e del Nordafrica e ora in Iran. Mentre è relativamente facile a posteriori ricostruire le cause della rivolta è, credo, obiettivamente impossibile, almeno ad oggi, prevedere in anticipo quando questa scoppierà. Il concetto di inconscio non fa parte della storiografia. Eppure sembra fatto apposta per comprendere cosa succede nella psiche di un gruppo o di un’intera popolazione quando come in Iran i sentimenti di frustrazione, umiliazione, vergogna vengono così a lungo repressi da scatenare improvvisamente un impulso ad agire la rabbia. In un momento tutte le ingiustizie subite divengono vividi ricordi, ferite aperte, offese inaccettabili, immagini dirompenti e si trasformano in aggressività. Quello che fino ad un momento prima veniva tollerato per paura o per calcolo di sopravvivenza viene rifiutato in forza di un impulso che non si è più disposti a frenare. L’ira diviene contagiosa trasmettendosi a persone che si trovano in condizioni psichiche analoghe. Ciò scatena una lavina di aggressività che assume dimensioni sempre più grandi inducendo parallelamente nell’oppressore una paura sempre maggiore – che spesso sfocia in una ferocia repressiva ancora più raccapricciante. I sentimenti faticosamente rimossi negli oppressi tornano prepotentemente a galla non solo nell’individuo ma in un intero gruppo sociale che da quei sentimenti aggressivi viene interamente pervaso fino a diventarne esecutore, spesso pericolosamente inconsapevole. È il rimosso che ritorna, in forma individuale e collettiva e che si tramette per contagio. Si potrebbe dunque parlare di un inconscio collettivo, anche se un po‘ diverso dal concetto di Jung. Naturalmente l’aggressività viene vissuta ed agita anche consapevole ma non avrebbe l’intensità, il coraggio e l’inavvertenza del pericolo che emergono dai video provenienti dall’Iran se la sua base non fosse prevalentemente inconscia, inconsapevole, irriflessiva e spontaneamente agita. Questa inconsapevolezza costituisce allo stesso tempo l’incredibile forza della rivolta ma anche la sua debolezza e pericolosità. Il pericolo cioè da un lato che la rabbia collettiva si esponga a rischi non calcolati e venga repressa e dall’altro che si trasformi in vendetta feroce, in odio cieco.
Inconscio digitale
Guardando con le lacrime agli occhi e la paura nel cuore i video delle proteste delle donne in Iran mi sembra tuttavia si configuri un’altra dimensione di inconscio, quello digitale. Osservare sui social quei video postati a rischio della vita, ascoltare Bella Ciao dalle labbra di una ragazza fiera dei suoi capelli commuove, credo non solo me. Provoca anche in noi un fenomeno di contagio emotivo di massa non però da persona a persona ma via social networks. Sappiamo infatti che gli stati emotivi possono essere trasmessi agli altri utenti di social networks tramite contagio emotivo inducendo le persone a provare le stesse emozioni senza averne consapevolezza“ e senza bisogno di contatto personale, come era stato scientificamente dimostrato, con un esperimento fatto a scapito degli inconsapevoli utenti Facebook, dunque eticamente controverso ma scientificamente corretto, pubblicato già nel 2014 sulla rivista PNAS. Internet e Social Media possono essere interpretati allora come uno schermo di proiezione dei nostri affetti e si può dunque intendere l’inconscio digitale in senso psicoanalitico come l’insieme di ciò che noi proiettiamo inconsciamente (affetti, pensieri, intenzioni) su Internet e sui social Media così come degli stimoli inconsci che dal digitale vengono suscitati in noi, influenzando il nostro quotidiano.
I video che ci arrivano dall’Iran, dall’Ucraina, i tweet delle persone che rischiano la vita per la loro libertà ci emozionano ed influenzano ben più delle limate citazioni postate sui social e tratte dai libri o dai Baci Perugina. E questo dimostra proprio quanto sia complessa l’interazione tra affetti, più o meno consapevoli, e tecnologia che non solo lì media ma è anche in grado di suscitarli. L’inconscio digitale inteso psicoanaliticamente non è naturalmente in Internet, nei Social Media o nelle più o meno sicure ed affidabili banche dati delle Big Tech ma è dentro di noi ed opera secondo le stesse modalità del nostro tradizionale inconscio. Dunque noi proiettiamo in rete sugli altri emozioni di cui, nella maggior parte dei casi, non siamo consapevoli e interpretiamo altrettanto inconsapevolmente quanto troviamo in rete.
Inconscio come modalità creativa
Ma la valenza dell’inconscio digitale va, a mio avviso, oltre. Mentre originariamente Freud intendeva l’inconscio come un mare di inconsapevolezza da prosciugare a favore della terra dell‘Io, Bion e altri psicoanalisti hanno introdotto una nuova visione dell’inconscio, suggerendo che esso svolga una funzione trasformativa consentendo il cambiamento di esperienze sensoriali ed emotive della primissima infanzia in pensieri onirici. L’inconscio è cioè quello che ci permette di elaborare e superare la realtà trasformandola in immaginazione. Da contenitore l’inconscio diventa così modalità trasformativa e creativa.
Analogamente possiamo più modernamente concepire l’inconscio digitale come una nuova modalità di elaborazione della realtà a valenza ricombinatoria e dunque potenzialmente creativa. Nel nostro rapporto con il digitale entriamo infatti in contatto con altre persone e oggetti ma anche con parti consce ed inconsce nostre e altrui (individuali e collettive) che a loro volta esercitano una maggiore o minore influenza su di noi. A seconda della sintonia (attunement) che riusciamo a percepire e a instaurare con queste parti riceviamo anche minori o maggiori stimoli non solo cognitivi ma anche emozionali che possono tradursi in nuove modalità d’approccio al mondo e a noi stessi. Non so se l’immagine dei capelli tagliati issati a mo‘ di bandiera diventerà la fotografia del secolo come si ritiene nel Tweet citato ma certo ha la possibilità di passare a far parte del nostro inconscio collettivo grazie alla tecnologia. Non solo. Quell‘immagine è stata artisticamente elaborata da molti artisti tra cui il giapponese Sho Shibuya su Instagram per poi venire pubblicata sul New York Times
Un’immagine di sofferenza e al tempo stesso di resistenza giunge attraverso una tecnologia sempre più diretta ed immediata alle nostre menti e ai nostri cuori. Gli affetti che vi sono associati vengono pure veicolati dalla tecnologia e si ricompongono in noi in modo inconsapevole, in parte certo illusorio ma anche potenzialmente creativo. Non basta purtroppo a rendere il mondo migliore ma certo ne fa un mondo diverso rispetto a quello di pochi decenni fa.
suggerimento musicale: Bella Ciao in persiano