“La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi.” Bruce Chatwin
Camminare/Cammino sono termini nei quali sembra racchiusa l’essenza stessa dell’uomo. Imparare a camminare è uno dei primi compiti con cui ci troviamo confrontati ancora in tenera età, un compito che ci impegna sia fisicamente che mentalmente e che sembra volerci insegnare al tempo stesso il significato della vita. Gattonare, alzarsi a fatica, cadere e di nuovo rialzarsi sembrano non solo le tappe necessarie per imparare a camminare ma l’essenza stessa della vita e delle sue fasi al punto che un antico enigma faceva riferimento proprio alla modalità di camminare dell’uomo per definirlo.
L’enigma della sfinge
Secondo il mito greca il seguente indovinello sarebbe stato posto dalla Sfinge, il mostro con il corpo da Leone, volto di donna e ali di uccello ai tebani: «Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, bipede e tripede?“ I poveri tebani che non erano in grado di risolverlo venivamo divorati dalla Sfinge al punto che il re, Creonte, dopo aver perso anche il figlio Emone, stabilì che chi avesse risolto l‘enigma avrebbe avuto il regno e la mano della vedova di Laio, Giocasta. Edipo ebbe successo, spiegando che la risposta era “l’uomo”, che gattona da neonato, cammina su due gambe da adulto e si appoggia su un bastone da anziano. La Sfinge dopo la sconfitta si precipitò dall’acropoli. Sappiamo che anche Edipo peraltro non ebbe vita facile. La soluzione dell’’enigma rinvia comunque alla potenza ma anche alla fragilità dell‘uomo identificate appunto con la sua capacità di reggersi sulle proprie gambe nella maturità e di dover far poi uso del bastone nella vecchiaia tornando ad una condizione di bisogno per certi versi simile a quella dell’infanzia.
Cammino e tecnologia
Se il bastone è stato uno dei primi mezzi tecnologici per far fronte alle condizioni di bisogno e di disagio dell’uomo, molti se ne sono succeduti nella storia fino ad oggi al punto che il cammino dell’umanità potrebbe essere anche descritto come il riuscito tentativo dell‘uomo di non dovere camminare. ma di avere a disposizione dapprima animali e poi dispositivi tecnologici, dal carro, alla nave, al treno, all‘auto ai missili per farlo. Fino ad arrivare alla rivoluzione informatica e al digitale in cui è lo spazio virtuale che si sposta venendo da noi o consentendoci di entrare in lui.
Il guazzabuglio del cuore e del cammino
Eppure nella lunga storia dell’umanità, delle sue scoperte e sconfitte, il cammino ha continuato a costituire per l‘essere umano una possibilità per riscoprire il proprio rapporto con la natura e con sé stesso. Andiamo a camminare quando vogliamo stare con noi stessi, quando il nostro cuore è più del solito un guazzabuglio di passioni ed emozioni che non si lasciano ridurre ad una somma algebrica, quando non sopportiamo più la compagnia dei nostri simili o invece non riusciamo a sopportare di stare con noi stessi e vogliamo, volontariamente o inconsciamente, essere in compagnia delle difficoltà e del conforto altrui. Niente ci aiuta come il camminare a ritrovare il rapporto con il nostro corpo, con i suoi bisogni e i nostri acciacchi, i nostri limiti e nostri dolori ma al contempo anche con la voglia di superarli e, se possibile, di andare oltre. Non a caso quando ci si incontra tra pellegrini sul cammino (di Santiago) ci si apostrofa con Ultreya (avanti, oltre) un saluto che è anche un incitamento a proseguire. Ancora, il cammino, nel suo essere soggetto alle asperità del terreno, ma anche all’incertezza delle condizioni meteorologiche ci rende consapevoli della nostra impotenza e caducità ma anche della possibilità di aiutarci vicendevolmente sui nostri cammini