“Move fast, break things” era l’esortazione di Zuckerberg ai suoi sviluppatori ed è certamente una delle chiavi dell’innovazione e del nostro tempo. La velocità – varrebbe la pena di rileggere il calviniano elogio della rapidità nelle sue celebri lezioni americane – rischia però spesso di divenire fretta. Forse conviene allora fermarsi ogni tanto a riflettere, anzi ancora più facilmente a leggere le precise riflessioni di un grande conoscitore della nostra civiltà tecnologica quale John Naughton che sul Guardian riassume con limpida profondità la storia dei controlli (impossibili) di Facebook sui pressoché infiniti e (ovviamente) non proprio sempre encomiabili post dei suoi dilaganti utenti (noi!). In un recente scoop il Guardian ha, come si sa, individuato e pubblicato le guidelines che i censori di Facebook seguono. Risulta che hanno a disposizione 10 secondi di tempo per prendere la decisione di lasciare o rimuovere i post incriminati. Meno del tempo necessario a bere un sorso d’acqua. Sembra l’ennesima conferma che a decidere ancora una volta è l’inconscio, dei censori a sua volta sollecitato da quello degli utenti. (E sarebbe interessante sapere cosa ne dicono le neuroscienze). È (ormai) a tutti chiaro infatti, primo tra tutti a Naughton, che Internet riflette la natura umana e che Facebook ne è pure diventato uno specchio
One way of thinking about the internet is that it holds up a mirror to human nature. All human life is there and much of what we see reflected on it is banal (Lolcats, for example), harmless, charming, enlightening and life-enhancing. But some of what we see is horrifying: it is violent, racist, hateful, spiteful, cruel, misogynistic and worse.
There are about 3.4bn users of the internet worldwide. Facebook has now nearly 2bn users, which comes to around 58% of all the people in the world who use the network. It was inevitable therefore that it too would become a mirror for human nature – and that people would use it not just for good purposes, but also for bad. And so they have.
Naugthon invita dunque a sua volta Zucherberg a fare alla svelta con i controlli se non vuole che l’odio uccida prima Facebook, paragonando quest’ultimo a una fabbrica di gelato in cui siano stati scoperti residui fognari.
If we discovered that the output of an ice-cream factory included a small but measurable quantity of raw sewage we’d close it in an instant.
Credo che il paragone sia l’unica cosa dell’articolo che non regge. Facebook non mi sembra affatto una fabbrica di gelato, piuttosto un’enorme e spesso inconsapevole luogo di produzione di lenti. Da cui veniamo visti e con cui vediamo il mondo. Certo servono i controlli di qualità su materiali e metodi di produzione delle lenti ma, credo, prima e più ancora, corsi permanenti di aggiornamento continuo per tutti i partecipanti alla produzione. Per capire prima di tutto quali lenti ognuno di noi produce ed indossa! E magari, ogni tanto, “fare cambio”
Suggerimento musicale Arvo Pärt, Festina lente