Il segretario di stato americano Robert Kassian viene svegliato nel cuore della notte da una telefonata proveniente dalla centrale della Casa Bianca. È un allarme senza precedenti. Viene pregato da un’impaurita tenente di recarsi al più presto alla Casa Bianca per scongiurare la catastrofe, che egli intuisce presto sentendo le urla rabbiose del presidente in sottofondo. Ritenendosi insultato dalle parole del presidente della Corea del Nord, il presidente americano vuole dare l’ordine di un attacco nucleare. Bisogna fermarlo. Ma come?
Così comincia il Presidente (titolo originale “To kill the President”) di Sam Bourne, pseudonimo dell’autorevole giornalista britannico Jonathan Freedland, a lungo corrispondente del Guardian da Washington.
L’assai verosimile incipit e altri passi del romanzo da poco tradotto in tedesco sono stati letti nel corso di un programma della radio Svizzera tedesca SFR 2 e commentati con l’aiuto di Bärbel Wardetzki, psicoterapeuta tedesca che da tempo si occupa di disturbi narcisistici e che ha recentemente pubblicato “Narzissmus, Verführung und Macht in Politik und Gesellschaft” (Narcisismo, seduzione e potere nella politica e nella società), Europa Verlag, 2017.
La psicoterapeuta individua marcati tratti di narcisismo maligno nella figura del presidente tratteggiata nel romanzo così come in quella del presidente Donald Trump, cui evidentemente il romanzo si ispira. La giornalista che l’intervistava si è sentita in obbligo di ripetere più volte che i brani letti erano fiction, tale era il rischio di prenderli per veri di fronte al reale duello verbale sempre più acceso tra Donald Trump e Kim Jong-un (“uomo-missile in missione suicida”, “megalomane mentalmente disturbato”) Ma la psicoterapeuta rinviene analoghe caratteristiche di narcisismo patologico anche in Erdogan, Putin e molto altri leader mondiali giungendo alla conclusione che il narcisismo, pur da sempre connaturato alla politica e al potere, goda oggi di particolare favore in politica.
Si sa da sempre che personalità narcisistiche vengono attirate dalla politica e che il potere rafforza tratti e tendenze narcisistiche di chi comanda. Nella società e politica contemporanea assistiamo però ad un vero e proprio boom narcisistico. Non si tratta solo della spinta narcisistica benigna ed anzi positiva ad avere e proporre nuove visioni per la soluzione di problemi scientifici o politici, l’innovazione sociale o la trasformazione artistica. Una sorta di megalomanica visionarietà è per certi versi connaturata con ogni grande progetto innovativo, in qualsiasi campo. Anche l’intento stesso di ogni psicoterapia di aiutare qualcuno ha qualcosa di narcisisticamente illusorio, vista la difficoltà se non l’impossibilità di ognuno di noi di “curare” la propria vita. Nel caso di Trump, Erdogan, Putin e tanti altri si arriva però, nell’ambito di un narcisismo maligno, ad un grado tale di mancanza di empatia da anteporre gli interessi personali e di gruppo a quelli di un’intera nazione, da rischiare conflitti dalle conseguenze drammatiche pur di affermare la propria potenza presunta. Che è poi solo l’altra faccia dell’impotenza di cui il narcisista soffre dibattendosi in una costante alternanza tra sentimenti di schiacciante insufficienza e onnipotenza. Significativo (anche se certo non nuovo) è il fatto che tanti narcisisti abbiano successo sulla scena politica mondiale con ricette così semplicistiche e scontate in una fase in cui la complessità sta diventando, è divenuta la cifra della nostra società. Ma questa è solo un’apparente contraddizione. Il narcisismo è strettamente correlato alla semplificazione e all’opposizione radicale e pacificamente insolubile tra bene e male, amici e nemici, valori immutabilmente positivi e negativi. Di pari passo cresce nella nostra società la paura della complessità, di dover stare al passo con un’innovazione sempre più rapida e molteplice, di dover pensare e sentire in termini sempre più correlati, differenziati e complessi. Si crea così un’alleanza preoccupante, una pericolosa collusione tra l’offerta narcisistica di semplificazione e di radicalizzazione e la domanda di risoluzione immediata e rassicurante di minacciosi problemi complessi. Più noi ci sentiamo incapaci ed impotenti nella vita sociale e politica quotidiana, più deleghiamo la risoluzione dei problemi ad individui che ci assecondano e seducono con l’illusione di fare quello che a noi non riesce: risolvere i problemi complessi con la stessa facilità con cui si beve un bicchiere d’acqua. Il paradosso sta piuttosto nel fatto che tali individui dopo essere riusciti abbastanza facilmente a conquistare la nostra fiducia complicano anziché risolvere i problemi a causa della loro incapacità di gestire la conflittualità esterna (relazioni interpersonali) e interna (pulsioni e conflitti interni). Dopo averci illuso con promesse impossibili si e ci condannano a infinite delusioni. Fino a che nuovi imbonitori salgono sulla scena. O fino a quando avremo imparato ad affrontare i labirinti della complessità (cui l’associazione umanamente, di cui faccio parte, dedica un convegno sabato prossimo a Lograto). Non si tratta di inventare ora illusorie soluzioni definitive a problemi futuri che ancora facciamo fatica ad inquadrare quanto forse di ammettere la nostra insufficienza senza lasciarci trascinare dalla disperazione. Anche e a maggior ragione nel nostro spazio sociale e politico non siamo padroni in casa nostra, come nella nostra mente. Dobbiamo fare i conti con il nostro inconscio, individuale e collettivo. E prenderne pazientemente coscienza, per quello che è possibile, per non esserne travolti. Scrive Edgar Morin, uno dei fondatori del pensiero della complessità, nel suo tweet odierno
“Il mondo si trasforma e trasforma noi. Si dovrebbe tentare di interpretarlo per cercare di trasformare la sua trasformazione”
immagine del Presidente Donald Trump tratta dal sito
suggerimento musicale a cura di @marcoganassin: Ibrahim Maalouf – Je vous souhaite d’être follement aimée