Un Io a pezzi

“Mi sembra di vedere il mio Io attraverso una lente che lo rifranga e moltiplichi – tutte le figure che si agitano intorno a me sono altrettanti Io e io m’adiro del loro modo d’agire” scrive in una nota dei suoi diari E.T.A. Hoffmann non a caso uno degli scrittori che meglio hanno espresso la molteplicità dell’Io e la nostra difficile, dolorosa e spesso fallimentare lotta per la conquista di una (sempre precaria) identità. Chi di noi non ha mai vissuto questo conflitto? pur senza (per fortuna) giungere alla disperazione di uno dei personaggi hoffmanniani, Medardo, che racconta “il mio io, confuso con una personalità estranea, vagava alla deriva in balia degli eventi imperversanti su di me come marosi infuriati”
Le crisi cui andiamo incontro mettono in discussione il nostro io convenzionale, “l’abituale punto di riferimento dentro di noi”, ma possono rivelare altri Io. Così come la poesia – scriveva splendidamente Franco Loi sul domenicale la scorsa settimana – manifesta “l’essere inconscio” del poeta. Poiché “con il fare artistico…. – prosegue Loi – non solo si porta alla coscienza tanta parte di noi, ma si cambia noi stessi, si cambia il rapporto fra noi e la profondità di noi”.
Il libro The Man Who Wasn’t There, di Anil Ananthaswamy, non aspira a tanto, ma illustra caratteristiche singolari, inaspettate del nostro Io, mostrandone in tal modo l’affascinante complessità. Una particella tanto breve quanto complessa, l’Io, alla quale si potrebbe applicare la considerazione agostiniana sul tempo “se nessuno me lo chiede, so che cos’è; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”
Anche lo scrittore scientifico Ananthaswamy non ha risposte definitive sull’Io e neppure le esperienze cliniche dirette di Sachs – cui viene in diverse recensioni paragonato. Ma la strada che percorre per far luce sugli aspetti meno scontati dell’Io è straordinariamente interessante e originale. Anziché partire dalla pienezza delle definizioni filosofiche, psicologiche, neuroscientifiche, comincia dai deficit di disturbi psichici e neurologici in cui caratteristiche apparentemente scontate dell’Io mancano o sono profondamente alterate.
Il disturbo da cui prende avvio l’affascinante narrazione di Ananthaswamy è la sindrome di Cotard, grave e raro disturbo depressivo che lascia in chi parla con il malato un’impressione indelebile e inquietante. Mi ricordo ancora oggi – o almeno voglio credere di ricordare – l’espressione di profonda disperazione e al tempo stesso di soddisfatta risolutezza di un paziente visitato quand’ero ancora inesperto assistente. “Lei pensa che io viva ma è tutto morto dentro di me. Tutti i miei organi non ci sono più. Ho solo ingranaggi dentro.” Questo o qualcosa di molto simile mi disse. Qualcosa di analogo dicono tutti i pazienti affetti dalla s. di Cotard, o delirio di negazione corporea. Sono infatti convinti di non vivere più, di essere morti e al tempo stesso proprio perché senza corpo di essere immortali e come tali condannati a portare per sempre con loro i tremendi sentimenti di colpa che generalmente li affliggono. Ananthaswamy va alla ricerca degli specialisti che si sono occupati proprio di tali pazienti, riporta i loro racconti, ma anche le loro emozioni, i risultati degli esami cui i pazienti sono stati sottoposti, le limitate conclusioni dei ricercatori e le tante domande aperte. Così, strada facendo, anche noi lettori cambiamo il nostro punto di vista e dallo sguardo psichiatrico passiamo a quello filosofico, psicodinamico, neurobiologico… Di fronte ad un paziente (Graham) convinto che il suo cervello sia irrimediabilmente bruciato e distrutto ci domandiamo con Ananthaswamy – e con Cartesio – se si dia un “cogito etsi non sum”. Impariamo che possiamo interpretare anche questi (difficilmente immaginabili) sintomi come una reazione a più o meno traumatici eventi e vissuti; ma anche come la conseguenza (o la manifestazione?) dell’alterato funzionamento di complesse strutture cerebrali, situate soprattutto nel lobo frontale, e responsabili della coscienza di sé e/o del mondo. La PET cui è stato sottoposto un paziente con s. di Cotard (Graham) dimostra infatti che anche lui – come pazienti in condizioni cliniche molto diverse e vicine al coma quali lo stato vegetativo – ha un ridotto funzionamento delle aree che controllano la coscienza consapevole del proprio corpo e sono dunque decisive per la consapevolezza di sé

It’s likely that the impaired metabolic activity in the midline regions had caused Graham to have an altered self-experience – maybe a greatly reduced sense of self. But because that lowered metabolic activity had spread to other regions of the frontal lobes, he was unable to talk himself out of that altered experience, as he otherwise might have. He became convinced he was brain dead.

Il viaggio di Ananthaswamy procede attraverso molte altre condizioni patologiche per illustrare le molte svariate sfaccettature del sé: la demenza che ha colpito anche un compositore come Aaron Copland impedendogli di sapere chi era quando riusciva ancora a scrivere musica straordinaria ; la schizofrenia spesso associata a perdita/alterazione dei confini dell’Io; stati di depersonalizzazione; l’autismo; il fenomeno del sosia; gli stati estatici epilettici.
Condizioni molto diverse tra di loro, inquietanti nella loro apparente “stranezza”, che ci rivelano però quanto faticosa, ricca, complessa e interminabile sia per tutti noi la costruzione dell’Io
Suggerimento musicale: Aaron Copland, Appalachian Spring