Salute mentale digitale plurale

La salute mentale sale ai piani nobili. Il 13 e il 14 aprile l’organizzazione mondiale della sanità e la banca mondiale terranno una conferenza congiunta senza precedenti per discutere di salute mentale sia come malattia globale che come problema economico. Ne dà notizia, tra molti altri, Nature  che dedica al tema un incisivo editoriale e preziosi articoli. Dai manicomi nascosti nelle periferie, ai margini dei boschi e sulle isole, la malattia mentale è arrivata a Washington DC, a farsi sentire nelle stanze del potere, sia pure perché costosa. Al di là dei pur positivi proclami e dei buoni propositi, rimane ancora molto da fare. Combattere lo stigma che ancora colpisce pazienti e familiari. Spiegare le malattie mentali e comprendere le persone che le vivono. Riconoscere che i disturbi psichici sono per la maggior parte curabili, come lo sono il mal di cuore e di reni. Capire che nei disturbi psichici i fattori organici – sempre meglio ma non ancora sufficientemente conosciuti – psicologici e sociali si intrecciano tra loro e con la nostra personalità in un insieme così complesso e unico, da richiedere da parte del terapeuta uno sguardo altrettanto unico. Perché possiamo sentirci soggetti, capaci di scrivere una nuova storia della malattia e di noi stessi, fatta di sofferenza ma anche di cura, di senso e nuove risorse, e, possibilmente, di guarigione. Molto rimane pure da fare soprattutto perché chi soffre di disturbi psichici (cioè quasi un terzo di tutti noi!) possa accedere in tutto il mondo alle terapie e queste ultime siano sempre più efficaci. Serve una cooperazione globale
Ma come, vista l’enormità delle cifre? Si calcola infatti che circa il 29% della popolazione mondiale soffra almeno una volta nella propria vita di un disturbo mentale. Il 35% fino al 55% di queste persone nei paesi industrializzati e addirittura fino all’85% nei paesi in via di sviluppo non riceverebbero le terapie di cui hanno bisogno. Un diritto negato, che ha conseguenze personali, familiari, sociali e economiche disastrose.
Trovandoci in epoca digitale viene naturale pensare che il divario possa essere colmato dall’e-Health soprattutto nei paesi in via di sviluppo , dove spesso lo smartphone è anche l’unico mezzo di accesso al digitale. Dunque Mobile Health apps  come mezzo per portare la terapia, se non il terapeuta, in ogni tasca

“We can now reach people that up until recently were completely unreach- able to us,” says Dror Ben-Zeev, who directs the mHealth for Mental Health Program at the Dartmouth Psychiatric Research

 
La prospettiva del sostegno digitale alla salute mentale è stata accolta e incoraggiata dalla stessa organizzazione mondiale della sanità e dai servizi sanitari di diverse nazioni.

In its Mental Health Action Plan 2013–2020, the WHO recom- mended “the promotion of self-care, for instance, through the use of electronic and mobile health technologies.” And the UK National Health Service (NHS) website NHS Choices carries a short list of online mental-health resources, including a few apps, that it has formally endorsed.

Solo un terzo tuttavia delle app sviluppate in campo medico sono risultate essere rivolte alla diagnosi/cura dei disturbi psichici. L’articolo di Nature evidenzia tuttavia un problema ancora più grave. Gran parte delle app messe sul mercato per il trattamento dei disturbi psichici non fornisce sufficienti garanzie di efficacia clinica o presenta pecche nella sicurezza di trasmissione dei dati. Un E-Health selvaggio, in cui la tecnologia ha preceduto la scienza?

Although there is some evidence that empirically based, well- designed mental-health apps can improve outcomes for patients, the vast majority remain unstudied. They may or may not be effective, and some may even be harmful. Scientists and health officials are now beginning to investigate their potential benefits and pitfalls more thoroughly, but there is still a lot left to learn and little guidance for consumers.

Basta d’altro canto fare un facile esperimento personale e ricercare ad es. “Depressione” nell’appstore. I risultati sono esilaranti, se non fossero tragici. “Combattere la depressione con il massaggio cinese” trovo nel mio AppStore svizzero; e ancora: “Il calcolatore della depressione”, “l’ipnosi per curare la depressione”… Sarebbe d’altro canto ingenuo attendersi che il digitale ci abbia redento dalla disonestà e dalla stupidità umana. Certo però sono necessari maggiori studi e controlli e la segnalazione di Nature, ripresa anche dal Guardian  che li sollecita è quanto mai benvenuta.
Accanto a nuovi studi scientifici, nuove tecnologie serve però anche una nuova cultura della salute mentale, per andare oltre la paura del disturbo psichico, confrontarsi con la sua sofferenza, trovare un modo rispettoso e “giocoso” insieme per aprirsi all’altro che è in noi. Il successo di psychiatryonline e del suo canale tematico YouTube  dimostra che l’interesse per una seria cultura psichiatrica e psicoterapeutica c’è. E più che il massaggio cinese può il principe danese. Rileggere (e riscrivere) su Twitter la geniale follia di Amleto con TwLetteratura  e tante scuole che vi partecipano non è un dilemma ma una possibilità che i nostri tempi digitali ci offrono. Far avvicinare gli studenti delle medie superiori ai disturbi psichici tramite un concorso letterario in cui commentare un romanzo o un film può sembrare un’idea peregrina ma strana.mente funziona. Dar vita a progetti innovativi per dar spazio e parola con il digitale anche ai soggetti e ai quartieri più deboli è possibile e un Comune come Milano è aperto a sostenerli. Sono solo esempi disparati e eterogenei, piccoli segnali – spero – di una nuova cultura digitale della salute mentale, aperta all’integrazione tra discipline diverse e a una partecipazione plurale, un “plurale – come dice De Biase – non collettivo-individuale ma intersoggettivo”
Immagine tratta da: MailOnline
Suggerimento musicale: Purcell, Dido and Aeneas