“Rispose per me una voce sorda e cavernosa – perché quelle parole, sfuggite alle mie labbra, non ero stato io a pronunziarle” racconta inorridito Medardo il protagonista del purtroppo dimenticato romanzo di Hoffmann “Gli elisir del diavolo”, forse la prima compiuta rappresentazione letteraria della schizofrenia ma anche, come scrive Magris, “una splendida parabola psicologica culturale e morale della dissociazione di un’anima”. Se Medardo fosse oggi qui tra noi in carne e ossa potrebbe annunciarsi dal professor Leff a Londra per una terapia via avatar delle voci – del suo sosia, il fratellino – da cui era afflitto. Non è un romanzo questo, ma la realtà scientifica resa possibile da alcuni ricercatori della UCL che con il supporto finanziario della Wellcome Trust hanno realizzato un sistema avatar tale da consentire ai pazienti affetti da schizofrenia di controllare le loro allucinazioni (le voci cioè che i pazienti sentono).
In un primo progetto pilota che ha coinvolto 16 pazienti, poche sedute (fino a un massimo di 7) della durata di 30 minuti di tale terapia computerizzata hanno determinato una riduzione sia della frequenza che dell’intensità delle voci che i pazienti udivano. Tre di questi pazienti, che sentivano voci rispettivamente da 16, 13 e 3 anni e mezzo, hanno completamente smesso di sentirle dopo la terapia. Inoltre, anche se il sistema avatar non contrasta direttamente i deliri, si è notato un miglioramento di questi ultimi come effetto della terapia sul quadro clinico complessivo
Come funziona
Nella terapia in questione il paziente crea per prima cosa un avatar computerizzato scegliendo la faccia e la voce dell’entità che il paziente crede stia parlando con lui. Il sistema poi sincronizza le labbra dell’avatar con il discorso consentendo così al terapeuta di parlare al paziente attraverso l’avatar in tempo reale. Il terapeuta incoraggia il paziente a opporsi alle voci e gradualmente gli insegna a controllare le proprie allucinazioni.
Ad aver sviluppato la terapia e a condurre il progetto è il professor Julian Leff, Emeritus Professor in UCL Mental Health Sciences, famoso in tutto il mondo per aver sviluppato ancora negli anni 80 il concetto delle expressed emotion Lo psichiatra britannico aveva infatti dimostrato già allora che un alto livello di coinvolgimento emozionale (di tipo negativo) nella famiglia del paziente schizofrenico e più in generale del paziente psichiatrico determina un più alto tasso di recidiva della malattia e dunque ricoveri più frequenti. Nell’incertezza emotiva e cognitiva e nelle tendenze ideologizzanti che attanaglia(va)no (sarebbe bello poter usare l’imperfetto!) la psichiatria soprattutto per la cura dei disturbi psicotici, gli studi del professor Leff sono stati allora per i terapeuti una preziosa boccata d’ossigeno per il riscontro obiettivo e la riflessione razionale che hanno comportato. Trovo dunque a maggior ragione straordinario che una persona dell’esperienza, della competenza e dell’età del professor Leff sia pronto a confrontarsi con le innovazioni tecnologiche attuali e ne faccia un vincente cavallo di battaglia nella cura della schizofrenia, una malattia che colpisce circa una persona su 100 ed è generalmente (ma non sempre) caratterizzata da deliri e allucinazioni. Egli commenta così le reazioni dei pazienti di fronte alla terapia
“Even though patients interact with the avatar as though it was a real person, because they have created it, they know that it cannot harm them, as opposed to the voices, which often threaten to kill or harm them and their family. As a result the therapy helps patients gain the confidence and courage to confront the avatar, and their persecutor”.
E aggiunge
“We record every therapy session on MP3 so that the patient essentially has a therapist in their pocket which they can listen to at any time when harassed by the voices. We’ve found that this helps them to recognise that the voices originate within their own mind and reinforces their control over the hallucinations.”
Il fatto che il terapeuta parli dall’immagine dell’avatar potrebbe a mio avviso essere non privo di effetti indesiderati potendo magari indurre nel paziente deliri persecutori nei confronti del terapeuta stesso. Vi sarebbero poi tanti altri aspetti tecnici su cui sarebbe interessante il parere di un esperto dell’interazione uomo-macchina come Luca Chittaro I risultati della terapia sono comunque molto promettenti e vengono incontro ad un problema reale, costituito dal fatto che uno su quattro dei pazienti attualmente trattati – con terapia farmacologica e psicologica – non risponde alla terapia e continua a sentire le allucinazioni acustiche (le voci appunto) spesso a carattere persecutorio.
Proprio sulla base di tali promettenti esiti il team di ricerca ha ricevuto 1,3 milioni di sterline del Translation Awards dal Wellcome Trust per perfezionare il sistema e condurre uno studio randomizzato su larga scala. La ricerca sta per essere avviata proprio in questi giorni al King’s College London Institute of Psychiatry su 142 pazienti affetti da schizofrenia e sofferenti da molti anni di allucinazioni acustiche. A guidare la ricerca, i cui primi risultati sono attesi per la fine del 2015, sarà il Professor Thomas Craig che loda l’efficacia e la brevità della nuova terapia:
“The beauty of the therapy is its simplicity and brevity. Most other psychological therapies for these conditions are costly and take many months to deliver. If we show that this treatment is effective, we expect it could be widely available in the UK within just a couple of years as the basic technology is well developed and many mental health professionals already have the basic therapy skills that are needed to deliver it.”
Aldilà di questo e del fatto che si tratta di una terapia non farmacologica quindi con assai minori, ma non assenti, effetti collaterali, un aspetto molto importante del nuovo metodo consiste nel fatto che noi psichiatri siamo in tal modo costretti a confrontarci con il contenuto delle allucinazioni uditive (le voci) dei pazienti. Quando un paziente mi racconta angosciato di avere al posto del cervello “un impianto” inseritogli non si sa bene da chi che lo controlla, gli suggerisce cosa fare, commenta le sue azioni e gli fa talvolta sperimentare inquietanti momenti di black out, l’angoscia rischia di trasmettersi dal paziente a me. La tentazione di liquidarla con un aumento della terapia farmacologica è forte e inversamente proporzionale al tempo a disposizione. Discutere con questo ragazzo dall’aspetto massiccio e dal nucleo fragile, da dove possano provenire queste voci, che significato possano avere, come contrastarle e come egli possa affermare la propria volontà senza tuttavia negare le parti deboli che sono parte di lui richiede tempo e una disponibilità a lasciarsi “toccare” dal perturbante che è in ognuno di noi, senza farsene vincere. Quel perturbante di cui, come riconosce Freud, Hoffmann è “maestro ineguagliato nell’ambito della letteratura”. Forse per riuscire a tenere a bada alle sirene del nostro oscuro inconscio, senza traumaticamente rimuoverle e senza che si trasformino in sanguinose arpie abbiamo bisogno sia di avatar che dei romanzi di Hoffmann, affascinanti odissee del drammatico costituirsi di una identità a partire dall’inquietante molteplicità del nostro arcaico substrato.
Per ulteriori informazioni: People interested in finding out more about the new avatar trial should email
foto: Ulisse e le Sirene, raffigurazione su vaso ca. 475-450 a. C., courtesy Wikipedia.de