Terapia un tanto al bot

Sapete cos’è un Woebot? Lo scoprirete leggendo l’‘articolo del New York Times , gentilmente segnalatomi da @micheket, che consiglio però anche a tutte/tutti coloro che sono interessate/i al tema della salute mentale. Spoilero per gli impazienti: è un’ applicazione che si installa sullo smartphone, si presenta come un terapeuta automatico, basato sugli assunti della terapia cognitivo-comportamentale e fornisce consigli utili per raggiungere gli scopi prefissati. Ha indubbiamente il vantaggio di poter essere consultato anche alle due di notte. Gli svantaggi vengono magistralmente riassunti dalla Turkle, psicologa clinica del MIT
“We will humanize whatever seems capable of communicating with us,” Dr. Turkle said. “You’re creating the illusion of intimacy, without the demands of a relationship. You have created a bond with something that doesn’t know it is bonding with you. It doesn’t understand a thing.”
Credo che proprio questo sia il nocciolo della questione: stiamo creando l’illusione di un intimità senza le esigenze (e le responsabilità) di una relazione. E a mio modesto avviso, non esiste terapia senza relazione.
Si tratta dunque di intendersi. Di che cosa stiamo parlando? Di una terapia o di un manuale di auto-aiuto in sofisticato formato digitale? Non a caso mentre sulla sua website, Woebot promette di “automate both the process and content of therapy,” la sua fondatrice, Dr Darcy è molto attenta a non indicare il Woebot come trattamento medico e nemmeno come terapia. Parla di “digital therapeutics” ma l’applicazione ricade sotto la categoria dei prodotti di “salute generale” e non deve pertanto sottostare alle rigide regole della Food and Drug Administration. Ma le intenzioni dell’ambiziosa fondatrice sono quelle di passare di categoria proponendo in un futuro a breve termine il Woebot per il trattamento della depressione dopo il parto e della depressione giovanile.
Le aspirazioni in tal senso sembrano derivare non tanto dagli studi sull’efficacia dell’applicazione, che ancora non ci sono, ma dalla tutt’altro che invidiabile situazione del panorama psicoterapeutico americano, caratterizzato da una carenza di psichiatri e psicoterapeuti e da costi per i più impagabili per una psicoterapia a fronte di una richiesta crescente esacerbata dalla pandemia
“During the pandemic, about four in 10 adults in the United States reported that they had symptoms of anxiety or depression, according to the Kaiser Family Foundation. At the same time, the federal government warns of a critical shortage of therapists and psychiatrists. According to the advocacy group Mental Health America, almost 60 percent of those with mental illness last year did not get treatment.”
A questo punto la cosa interessa da vicino tutti. Il rischio è che con i Woebot la tecnologia anziché venir impiegata per perfezionare il lavoro terapeutico dunque relazionale dello psicoterapeuta, si sostituisca ad esso divenendo una pseudo-psicoterapia per chi non può permettersi di pagare uno psicoterapeuta vero. Non c’è nulla di male se una persona cerca di stimolare le proprie risorse personali con i Woebot anziché con un manuale di auto-terapia, così come una buona lettura, le passeggiate nel bosco o le carezze a Fido o a Molly. Anzi la scoperta e l’attivazione delle proprie risorse nascoste o appannate va perseguita e incoraggiata. Basta essere consapevoli che è un lodevole auto-aiuto ma non una psicoterapia. Ben vengano i Woebot per chi li preferisce alla natura, a Seneca, Platone o altro. La terapia è però altra cosa: è relazione, confronto ed anche scontro, analisi del rapporto e delle emozioni che suscita in noi, speranza, fiducia, delusione, rabbia, chiarimento e, magari, dopo anche cambiamento.
E qui torniamo al problema di fondo. Chi si può permettere una psicoterapia che sia tale anche da noi, in Italia? Anziché pregiudizialmente affermare che il nostro sistema di gestione della salute mentale è il migliore del mondo, come la nostra costituzione, potremmo andare a contare quante persone a basso (o anche medio) reddito si possono permettere una psicoterapia degna di questo nome e non qualche seduta raffazzonata dall’amico dell’amico sul cui curriculum non si sa niente ma del quale tutti dicono sia molto bravo. Forse i Woebot potrebbero essere una una buona occasione per noi di discutere di assicurazione psicoterapeutica e altre forme di accesso facilitato alla psicoterapia, quella vera.