A prima vista questo tram non sembra avere nulla di particolarmente innovativo. Appare semplicemente moderno e pulito come sono, generalmente, i tram svizzeri. È in realtà il suo percorso – o meglio il recente prolungamento dello stesso – ad essere singolare. A partire da oggi, domenica 14 il tram 8 collegherà la svizzera Basilea con la tedesca Weil am Rhein, superando dunque la frontiera tra le due nazioni. Il prolungamento della linea 8 è infatti la prima tranvia a superare confini nazionali in Europa da 75 anni a questa parte La sua realizzazione ha dovuto superare non pochi ostacoli, non solo tecnici (tra l’altro un nuovo ponte) e finanziari (più di 100 milioni di Fr. per soli 2,6 Km, di cui 1,6 Km in territorio tedesco) ma anche commerciali e culturali. Mentre molti tedeschi di Weil am Rhein sono felici di potersi recare con il tram ai loro ben retribuiti posti di lavoro oltre frontiera a Basilea, i commercianti svizzeri sono tutt’altro che contenti che i loro concittadini abbiano una comoda possibilità in più di andare a far convenienti spese in euro a Weil am Rhein. Ma Basilea conta di attirare confinanti tedeschi con le sue ottime attrazioni culturali e con le aperture domenicali dei negozi (non previste – per il momento – a Weil am Rhein). Insomma la tranvia non è a senso unico e neanche gli scambi commerciali, culturali e umani probabilmente lo saranno. Stupisce piuttosto che un’idea per certi versi così semplice e “lineare” sia stata realizzata solo adesso. A maggior ragione se si considera che fino a 47 anni fa un tram svizzero-tedesco con percorso leggermente diverso esisteva già. A interromperlo più che i problemi tecnici sembra esser stata la diffidenza degli anni successivi alla guerra. Ora quelli che mi verrebbe da chiamare “incontri di confine” riprendono. Dopo un prolungamento tranviario breve ma psicologicamente molto impegnativo, a dimostrazione che l’elaborazione dei traumi (bellici), delle paure, dei pregiudizi e delle diffidenze umane richiedono molto più tempo delle costruzioni materiali.
A Berna un mezzo supera barriere più invisibili ma ancor più resistenti, quelle religiose. Sempre oggi viene inaugurata infatti nella capitale svizzera la Casa delle religioni, in cui cinque comunità religiose si ritrovano sotto lo stesso tetto. La casa infatti “ospita un tempio induista e uno buddista, una moschea, una cappella cristiana e una sala di preghiere per aleviti (setta musulmana i cui riti non si svolgono nelle moschee). Al progetto sono state associate anche le comunità ebraica, bahá’í e sikh, che non dispongono però di locali. Inoltre, uno spazio comune dovrà favorire incontri tra i rappresentanti delle varie comunità religiose. Oltre a cerimonie religiose, l’edificio potrà accogliere anche spettacoli, concerti e dibattiti.”
Anche in questo caso il superamento delle barriere interconfessionali e prima ancora intra confessionali non è stato sempre facile. Come ha riconosciuto ad es. un responsabile indù ai microfoni di SFR2 per gli indù era inizialmente inimmaginabile costruire una toilette, simbolo per antonomasia dell’impurità, accanto allo spazio sacro. Altre comunità religiose hanno dovuto superare al loro interno analoghe resistenze. Un processo nel corso del quale le barriere interconfessionali si sono rivelate spesso (sempre?) essere la proiezione sulle altre comunità di conflitti individuali e/o di gruppo. Per non parlare delle difficoltà finanziarie “La Fondazione “Piazza Europa – Casa delle religioni”, che ha promosso l’idea, ha impiegato oltre dieci anni per raccogliere i dieci milioni necessari per concretizzare questo progetto” la cui realizzazione è stata resa possibile, oltre che da donazioni e contributi, dall’uso commerciale di una parte dell’edificio che ospita anche negozi, ristoranti, appartamenti e uffici. Anche in questo caso compromessi con la realtà non sempre facili e piacevoli, ma senza i quali non si sarebbe arrivati alla meta. Il dialogo interconfessionale è inoltre appena avviato ed è facile prevedere che incontrerà molti altri ostacoli da parte degli stessi partecipanti il cui progetto è visionario ma la cui tolleranza non può essere che umana.
Sono tuttavia anche questi incontri di confine o forse oltre il confine che lasciano sperare in una concreta anche se – o proprio perché – faticosa innovazione, in cui il cammino è più che mai la meta.