Bilinguismo: una ristrutturazione cerebrale

Chiedere in che cantone si trova “obdachlos” (senza tetto) scambiando l’aggettivo tedesco per il nome di un paese svizzero è già abbastanza imbarazzante. Lo diviene ancora di più se la domanda viene posta da uno psichiatra a un paziente alcolizzato ricoverato in clinica nel pieno della notte. Questo (ed altro) mi è capitato più di 20 anni fa quando, con assai vacillanti basi linguistiche di tedesco, ho cominciato a lavorare in una clinica psichiatrica della svizzera tedesca. Da allora il mio tedesco, pur rimanendo anni luce lontano dalla lingua di Goethe, è per fortuna migliorato e io continuo ad usarlo (e a calpestarlo involontariamente) nella mia attività clinica quotidiana. In questo bilinguismo tardivo (e – molto – imperfetto) credo di essere in buona compagnia. La globalizzazione da un lato e i fenomeni migratori dall’altro rendono sempre più necessario e frequente l’uso costante di una seconda e terza lingua.
Da tempo è stato dimostrato che gli individui bilingui precoci (dalla nascita o nella prima infanzia) e attivi (che usano cioè costantemente le due lingue) presentano migliori abilità cognitive in compiti che richiedono un maggiore controllo cognitivo. Una recente ricerca pubblicata sulla rivista PNAS dimostra ora che analoghi miglioramenti cognitivi si riscontrano anche nei bilingui tardivi e che è proprio l’uso contemporaneo delle due lingue (e non tanto la precocità del loro apprendimento) a determinare positive e durature modificazioni delle strutture cerebrali.
Studi precedenti avevano già dimostrato che il bilinguismo influenza positivamente le strutture cerebrali agendo sia sulla sostanza grigia che sulla sostanza bianca. La prima è costituita dall’insieme dei corpi cellulari delle cellule nervose in cui l’informazione viene processata ed elaborata. La sostanza bianca è invece formata da tutti gli assoni delle cellule nervose, vale a dire i prolungamenti dei neuroni, deputati alla trasmissione degli impulsi da un neurone all’altro e da un’area cerebrale all’altra. Questi prolungamenti devono essere, come i cavi elettrici/informatici, isolati per evitare la perdita del segnale. L’isolamento degli assoni è realizzato dalla mielina.
Precedenti ricerche avevano dimostrato che il bilinguismo aumenta il volume della sostanza grigia in diverse aree cerebrali connesse all’apprendimento e all’elaborazione del linguaggio. Altri studi in bilingui dalla nascita bilingui precoci giovani e bilingui precoci adulti avevano inoltre evidenziato che il bilinguismo rende la sostanza bianca, l’insieme cioè degli assoni, dei nostri “cavi” di collegamento cerebrale più efficiente nel trasporto dell’informazione tramite l’incremento dell’integrità ovvero dello spessore della mielina, la sostanza isolante che li ricopre. Alcuni studi avevano addirittura ipotizzato che il bilinguismo per la vita intera potesse preservare l’integrità della sostanza bianca dal naturale processo di deterioramento senile, con una sorta di effetto anti-demenza.
Lo studio attuale si è concentrato invece sui bilingui tardivi, intesi come coloro che apprendono la seconda lingua intorno ai 10 anni.
Un gruppo di 20 bilingui tardivi, con età media sui 30 anni, residenti in Inghilterra da almeno 13 mesi e molto attivi e competenti nell’uso dell’inglese come seconda lingua è stato sottoposto ad una particolare forma di risonanza magnetica cerebrale chiamata “diffusion tensor imaging”, un procedimento che utilizza il movimento delle molecole d’acqua nel cervello come indicatore dell’integrità della sostanza bianca (più libere le molecole d’acqua, minore l’integrità della sostanza bianca). I risultati sono stati poi paragonati con quelli di un gruppo di controllo costituito da 25 individui monolingui di simile età e condizione socio-culturale.
I risultati dimostrano che (anche) i bilingui tardivi (oltre che quelli precoci) presentano, rispetto ai monolingui, una maggior integrità della sostanza bianca nelle aree cerebrali connesse all’elaborazione del linguaggio. La ricerca supporta dunque l’ipotesi che il bilinguismo ristruttura il cervello e che l’elemento chiave di tale ristrutturazione e protezione di lunga durata delle strutture cerebrali sia l’immersione bilinguale, l’uso cioè continuo ed alternato delle due lingue, indipendentemente dal periodo critico di apprendimento della seconda lingua.
I ricercatori concludono dunque che

everyday handling of more than one language functions as an intensive cognitive stimulation that benefits specific language-related brain structures by preserving their integrity, and therefore it protects them against deterioration in older age. In the light of these results, we propose that L2 [second language] learning, and the changes in WM [White Matter] connectivity that accompany it, is a dynamic process that relies heavily on L2 immersion. We also propose that the benefits of bilingualism on the WM structure that are observed in older age (5) may be independent of critical periods for L2 acquisition, but a direct consequence of lifelong active use of two languages.

La strada sembra promettente anche per il bilinguismo “maturo-anziano” (il virgolettato è mio) . È una prospettiva importante non solo per tutti coloro che sono spinti a praticare il bilinguismo dall’internazionalizzazione del mercato del lavoro ma anche per tutti i migranti con scarsa formazione culturale/professionale. L’apprendimento e l’uso costante di una seconda lingua oltre che favorire l’integrazione sociale e culturale sembra migliorare anche l’efficienza della connessione tra diverse aree cerebrali. La (seconda) lingua come strumento di innovazione sociale e personale accessibile a tutti, anche ai tanti Obdachlosen tragicamente sospinti verso nuovi paesi dalla fame e dalla guerra.