Il potere dell'inconscio digitale

Il potere è dappertutto non perché inglobi tutto, ma perché viene da ogni dove               (M. Foucault, Storia della sessualità)
Nulla “incarna” questo concetto di Foucault meglio di Internet, “la più importante infrastruttura al mondo”. E nulla esprime meglio lo spirito del nostro tempo del fatto che questa citazione di Foucault, decostruttore per antonomasia del potere, campeggi in un’ affascinante relazione (di Nicholas Davis, Head of Society and Innovation) dell’ultimo World Economic Forum, uno dei luoghi simbolo dell’incontro dei poteri. Non a caso il WEF ha avuto per tema quest’anno la quarta rivoluzione industriale, quella ora in corso, che coinvolge interi sistemi, e deriva dalla convergenza di innovazioni del mondo fisico, di quello digitale e biologico-umano. Tutte innovazioni che si basano sulla conoscenza che a sua volta viaggia su Internet.
Ma allora Internet è il sistema su cui viaggia il potere? Se lo chiede anche Juan Carlos De Martin che in un suo pregnante articolo distingue tra il potere di Internet, in Internet e su Internet, concludendo che “sarà la forza – o la debolezza – delle nostre democrazie a plasmare, oltre al resto, anche il futuro della rete”
Luca De Biase nel suo post diverso potere ma anche in svariati altri dedicati proprio al disvelamento del potere in Internet, della “grande asimmetria dell’informazione che si è sviluppata sulle grandi piattaforme”, dell’abuso a fini commerciali dei dati digitali, esamina acutamente i diritti strategici dei cittadini in Internet – sanciti in Italia nella recente Dichiarazione – e sottolinea la necessità di una “cultura sottostante molto consapevole” perché, conclude ” una rivoluzione richiede un’elaborazione intellettuale e non soltanto una spinta al cambiamento: altrimenti è soltanto una rivolta. O un’illusione.”
Ma quale cultura? Quella ispirata a “libertà, eguaglianza e fraternità” declinate digitalmente e tesa alla “redistribuzione della conoscenza e … (a) garantire lo spazio di crescita alle forme di autogoverno e di solidarietà fattiva che si stanno sviluppando nel vasto mare dell’innovazione sociale”? (De Biase) O quella altisonante, quanto retoricamente iper-razionalista del WEF, espressa dal suo Founder and Executive Chairman, Klaus Schwab ?

I believe that, if managed well, the Fourth Industrial Revolution can bring a new cultural renaissance, which will make us feel part of something much larger than ourselves: a true global civilization. I believe the changes that will sweep through society can provide a more inclusive, sustainable and harmonious society

Nuove, magnifiche sorti e progressive? Altri mirabolanti traguardi sulla strada già indicata 2500 anni fa dal celebre coro dell’Antigone di Sofocle?

“Molte potenze sono tremende, ma nessuna lo è più dell’uomo….Ovunque s’apre la strada, in nulla s’arresta. Così affronta il futuro…”.

Viene alla mente la metafora freudiana dello Zuidersee il mare che sommergeva buona parte dell’Olanda e che, una volta prosciugato dall’opera dell’uomo, ha lasciato appunto il posto ai “Paesi Bassi”. Freud ne fa la metafora del processo di trasformazione dall’inconscio al conscio, all’insegna del celebre motto “dove c’era l’Es ci sarà l’Io”. La terapia è in questo senso un’attività di bonifica, come appunto il prosciugamento dello Zuidersee.
Freud si rende però conto che a differenza dello Zuidersee l’inconscio “non può essere completamente prosciugato perché ciò porrebbe fine all’attività psichica del soggetto.” Non vale forse lo stesso per le dinamiche sociali e l’inconscio collettivo? Sarebbe davvero auspicabile ridurre il magma ribollente libero e incoercibile delle pulsioni e delle fantasie collettive in razionali e “innovativi” rivoli di metallica utilità comune? Non è forse questo iper-razionalistico atteggiamento ben più temibile dei tanto paventati robot?
Ma oltre ad essere poco o per nulla auspicabile, è possibile una “bonifica digitale” all’insegna dell’onnipotenza scientifico-razionalistica?
Lo dice il simpatico episodio di psico(patologia) quotidiana raccontato dal suo protagonista, Ferraris sul blog di De Biase

Caro Luca, solo una precisazione visto che hai avuto la gentilezza di riprendere e commentare tweet riferito a me, in cui avrei detto che il digitale rende schiavi e sarei stato applaudito…In realtà era diverso….Dicevo che era sbagliato l’atteggiamento nei confronti della tecnica che suppone una umanità perfetta che sarebbe alienata dalle macchine. Non siamo perfetti, siamo strutturalmente dipendenti, diventiamo autonomi molto dopo gli altri animali, questo spiega il bisogno di tecnica, e il nostro desiderio di sottomissione. La tecnica non è alienazione di un in sé perfetto ma rivelazione di una umanità sempre in fieri. A quel punto ho mostrato l’iwatch che IO ho al polso e ho detto che me lo ero comprato e ne eseguivo gli ordini dietetici, dunque mi ero comprato le mie catene, e lì mi hanno applaudito, credo perché sia un sentimento condiviso.

Non la presunta onnipotenza scientifica ma piuttosto la freudiana consapevolezza della nostra impotenza può aprire la strada alla conoscenza. Se le tre rivoluzioni industriali hanno trasformato ed arricchito il mondo, è con le tre grandi “sconfitte” di Copernico, Darwin e Freud che l’uomo ha imparato a conoscersi e a riconoscere che “l’io non è più padrone in casa propria ma deve fare i conti con le scarse notizie riguardo a ciò che avviene inconsciamente nella sua vita psichica.”
È davvero diverso per l’inconscio collettivo digitale? Non facciamo quotidiana esperienza di quanto siano fragili le nostre identità digitali, schiacciate tra le nostre impellenti narcisistiche pulsioni e gli interessi finanziari di coloro che le sfruttano a fini commerciali? La nostra libertà digitale si fa faticosamente strada tra la sirena del contagio emotivo e i pericoli dei voraci mostri algoritmici. Al tempo stesso Internet è straordinario mezzo creativo, favorendo un processo a due tempi che è l’essenza stessa della creazione (Corballis), accumulo di variazioni casuali e ritenzione selettiva: blind variation, selective retention (che è poi lo stesso meccanismo dell’evoluzione naturale). Se la rivendicazione dei nostri diritti digitali è un dovere civico, la lotta per la redistribuzione della conoscenza un imperativo per ridistribuire con essa il potere, la consapevolezza della nostra (relativa) impotenza ma anche della ricchezza del nostro inconscio collettivo è un antidoto a narrazioni del futuro troppo schematiche e riduttive. (Forse) non riusciremo mai a bonificare completamente il nostro Zuidersee liberandoci dalle sue laceranti incongruenze ma questo è al tempo stesso un segno della sua inesauribile ricchezza. Siamo la fatuità ma anche la bellezza e la ricchezza dei nostri desideri e delle nostre fantasie collettive.
Perché allora, di fronte all’idealizzazione iper-razionalistica o all’abuso a fini commerciali dei big data, non fare, nel centesimo anniversario del dadaismo, esercizio artistico-rivoluzionario di dada-data ?
Immagine tratta da dada-data.net/it/depot