L'odore del paradiso

” In tempi di confusione politica cronica e
di insufficiente trasparenza si addiceva ai chiaroveggenti – veri o falsi – la funzione sociale di conferire all’insicurezza almeno l’apparenza della sicurezza” (trad. mia)

Così scrive Elif Shafak nel suo – travolgente – ultimo romanzo tradotto in tedesco “L’odore del paradiso” (dall’inglese Three Daughters of Eve) riferendosi alla situazione politica e sociale della Turchia degli anni 80-90. Lo scrive ben sapendo, a posteriori, che l’incertezza e l’insicurezza sociale e politica si sono ormai estese a livello mondiale e sono divenute cifra del nostro angosciato tempo politico. L’autrice, la scrittrice turca ed intellettuale cosmopolita, che per il suo romanzo La bastarda di Istanbul  ha rischiato nel suo paese la prigione (per la presunta offesa dell’identità turca”), in una bella intervista alla radio e alla televisione Svizzera tedesca, ha parlato proprio della nostre insicurezze e paure e dei rischi che ne derivano, se non le prendiamo sul serio. Le mille paure sociali del nostro tempo liquido (degli effetti negativi della globalizzazione, dei lunghi postumi della crisi finanziaria, del criminale fanatismo terrorista e tante altre ancora) sono state poco comprese, a detta della scrittrice, dalle sinistre occidentali. Le destre populiste hanno invece fatto proprio di queste paure represse e dell’associato bisogno di sicurezza il cavallo di battaglia vincente delle più recenti contese politiche. L’elezione di Trump ne è l’esempio più eloquente.
Cosa fare allora se non vogliamo continuare a lasciarci guidare dalla paura in cortocircuiti irrazionali sempre più pericolosi? La scrittrice propone una via che mi sembra molto psicanalitica. Anziché opporre, con freddo quanto inefficace razionalismo (Clinton docet), alle paure i fatti, Shafak suggerisce di esprimere e aiutare ad esprimere le paure. Non per sfruttarle, ma per comprenderle, capire e condividere la sofferenza che le fa nascere e crescere. E nel difficile, faticoso, percorso di empatica condivisione delle nostre ed altrui paure, confrontandosi, superarle. Perché, dice uno dei personaggi del suo libro, l’affascinante docente oxfordiano Prof. Azur “possiamo (ri)conoscerci solo nel viso dell’altro”. Amur  invita gli studenti, credenti ed atei, che frequentano il suo impegnativo quanto sperimentale seminario su Dio ad immaginarlo nei modi più inconsueti e meno dogmatici possibili, ricercando “nuove narrative, sempre al plurale!”, prima di tutto in sé stessi. La pluralità di narrative é anche l’affascinante cifra dello straordinario libro di Shafak, cui ho fatto un pessimo servizio con le mie iniziali premesse teoriche.
L’odore del paradiso é prima di tutto l’avvincente romanzo di una ragazza turca che, perennemente dilacerata tra un affettuosissimo quanto debole padre razionalista ed una madre paurosa e bisognosa di fanatiche certezze religiose, si pone alla faticosa ricerca del suo Dio e in definitiva di sé stessa, lasciando le tradizioni del suo paese che le sta stretto, per l’Università occidentale per eccellenza, Oxford appunto, salvo poi tornare in Turchia. Ma é anche il romanzo delle utopie e delle drammatiche delusioni di uno dei suoi fratelli, cui le sevizie e le torture della polizia turca non tolgono solo la salute, ma la stessa speranza di ogni dignità. Mentre l’altro fratello trova nel nazionalismo più becero un povero toccasana per la propria insicurezza. Ma pregi e difetti, capacità e limiti, coraggio e debolezza, non si separano dualisticamente nei personaggi del romanzo. Attraversano invece ciascuno di loro, si incrociano costantemente ora in appassionate lotte, ora in imprevedibili ed arricchenti connubi. Come occidente e oriente, scienza e religione, innovazione e tradizione si intrecciano nelle vie, nelle menti e nei cuori di Istanbul. Ma anche di Oxford e di tutti coloro che, nei modi più semplici o raffinati, dotti o illetterati, si aprono alla ricerca interiore. La brillante, profonda ed avvincente narrativa della Shafak riflette tale molteplicità snodandosi di capitolo in capitolo in modo alternato tra Istanbul e Oxford, il passato ed il presente, la voce interiore del diario di Dio e il cicaleccio delle occasioni mondane. Le paure, le gioie, le sofferenze di Peri, la giovane protagonista alla ricerca della propria strada, diventano le nostre, i conflitti delle sue giovani amiche islamiche, una credente l’altra critica verso la religione musulmana, e la religione in generale, sono le discussioni dei e con i nostri amici.
Ma soprattutto la Shafak riesce a farci sentire nel suo romanzo a casa, con ogni parte di noi stessi, al di là di ogni dualismo e preconcetta contrapposizione. Credo davvero valgano per L’odore del paradiso le parole che Peri usa per descrivere il suo stato di benessere in presenza di Azur: “Alla sua presenza si sentiva completa, non separata, come se vi fosse davvero un’altra possibilità di considerare le cose – un altro sguardo rispetto a quello di suo padre e di sua madre. Nelle parole di Azur trovava una via d’uscita alla dualità nella quale era cresciuta nella (sua) famiglia Nalbantoglu. Da Azur poteva mostrare apertamente i molti aspetti del suo essere, senza reprimere o nascondere alcuna parte di sé”. E quando ci si sente completamente sé stessi con un altro può capitare di innamorarsene, come succede a Peri con Azur.
 
Suggerimento musicale: G. Rossini, Il turco in Italia, Ouverture