Scrivere una lettera al sé stesso di 10 anni dopo. Questo era il compito cui invitava anni fa i suoi alunni una professoressa poco prima della maturità. É anche l’idea su cui si basano alcuni attuali siti che invitano a dialogare “con sé stessi nel futuro” in forma orale o scritta. Ne dava approfonditamente conto ieri sul Corriere della Sera Anna Meldolesi che riportava anche il contributo, pubblicato su Edge, dello psicologo Knutson sul tema della “continuità con il sé futuro”, dal quale sembra emergere che il miglioramento del rapporto tra sé presente e sé futuro si traduce anche in una maggiore responsabilità del nostro comportamento verso noi stessi, gli altri e l’ambiente. Se poi “cara futura me ti scrivo/parlo” sia davvero una terapia é altra cosa.
Indubbiamente però “raccontare il futuro” é fondamentale. Luca De Biase , che pure contribuisce a Edge, ne ha fatto la sua mission, non stancandosi mai di illustrare non solo gli scenari futuri della nostra sempre più tecnologica umanità ma anche e ancor di più le narrative molteplici e plurali con cui leggerli e le conseguenze che ne derivano.
Non meno importante é indubbiamente che cerchiamo di raccontarci il nostro futuro personale, di immaginarlo, nonostante la zavorra del presente e del passato. O forse proprio grazie ad una percezione quanto mai attenta, vivida, originale e creativa del passato? Me lo chiedevo guardando lo splendido video, segnalato dall’instancabile Maria Popova di brainpickings dedicato a Marcel Proust e alla sua interminabile “novella” “Alla ricerca del tempo perduto”. Allo stesso tema il fondatore de The School of life, il filosofo Alan De Botton dedica anche il suo recente libro How Proust can change your life pure segnalato da Maria Popova.
Nel famoso momento in cui Proust porta alla bocca “un cucchiaino di tè, in cui avev(a) inzuppato un pezzetto di “Madeleine”… “un piacere delizioso” l’invade
“M’aveva subito rese indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità inoffensive, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me, era me stesso“
È quello che De Botton definisce un “momento proustiano” in cui, in un flusso di memoria, tutta la ricchezza emotiva del nostro passato ci viene restituita, la nostra vita torna improvvisamente ad essere sorprendente , straordinaria nella sua ordinarietà e degna di essere vissuta. Non è dunque la vita in sé ad essere ordinaria e stereotipata ma la percezione che noi ne abbiamo, travolti e inariditi dalle nostre abitudini che ci rendono sordi e ciechi alla bellezza che sta dinnanzi a, anzi dentro di noi. Da bambini, continua De Botton, riusciamo a rallegrarci per piccole cose proprio perché non conosciamo abitudini. Divenendo adulti cerchiamo di sfuggire alla noia delle abitudini con gli stimoli della fama e dell’amore. Ma chi ci aiuta meglio di ogni altro a strappare il noioso velo delle abitudini sono gli artisti
“they show us the world in a way that is fresh, appreciative, and alive… ”
Restituiscono vivacità, complessità, freschezza, novità alla vita in ogni suo momento, tornando a suscitare in noi l’ammirazione e il fascino per la vita (per gli altri e per noi stessi) che avevamo perso. Come un nuovo amore.
Immaginare, raccontare il nostro futuro è, può essere, una sorta di nuovo innamoramento in cui riusciamo a immaginarci liberi dalle nostre abitudini, dalle nostre coazioni a ripetere, dalla nostra incapacità di vedere altri scenari nella nostra vita e in definitiva altri noi stessi. Il racconto del futuro è trasformativo non tanto per gli (improbabili) scenari tecnologici che ci prospetta – la futurologia è avvezza ad inventare ancor più della storia manzoniana – ma anche e soprattutto perché i nuovi scenari tecnologici ci costringono a ripensarci, a dare nuove letture di noi stessi a intravvedere nuove possibilità di sviluppo. Come nello scarto finale di un romanzo, nell’evoluzione inaspettata di un rapporto, nell’imprevisto sviluppo di una terapia che sembrava a lungo impelagata nella ripetizione nevrotica delle proprie incapacità.
Immagine. tratta dal sito On vending machines & madeleines
Suggerimento musicale: Sergio Cammariere, tempo perduto