Retrotopia. Temere il futuro, mitizzare il passato

„In quella che chiamo guerra liquida, gli Stati moderni si tengono a debita distanza dagli oneri e dalle responsabilità di controllare e gestire il territorio, In quanto ritengono di avere a disposizione strumenti di controllo più efficaci In rapporto ai costi. Le odierne tecnologie militari permettono loro di decidere dove e quando attaccare e colpire il nemico con precisione estrema pur rimanendo inaccessibili a qualsiasi controffensiva di rilievo. Essi si basano su tattiche mordi e fuggi, per certi versi affini ai principi fondamentali della guerriglia, in cui la mobilità e la velocità hanno la meglio sulla mera superiorità numerica.”
Questa lunga e quanto mai attuale citazione di Mitschler (On the Road to a liquid Warfare? BICC Warking Paper, 3/2016) è una delle tante, disparate quanto appropriate, citazioni che si trovano nell’ultimo libro, postumo di Baum Retrotopia  di cui consiglio vivamente la lettura. Non certo per cercare facili consolazioni allo sconforto, se non addirittura alla disperazione del presente, ma per capirla. Baumann prende le mosse dal boom, dall’ “ epidemia globale di nostalgia” che, come rileva Svetlana Boym.
caratterizza la fine del 20 secolo e segna il nostro tempo. Per comprenderla il grande sociologo ed intellettuale fà un passo indietro e torna alle celebri parole con cui Walter Benjamin commenta il dipinto di Klee Angelus Novus (1920) dal filosofo ribattezzato “l’angelo della storia”. Scrive Benjamin: “ L’angelo della storia ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi egli vede una sola catastrofe… ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro a cui volge le spalle….. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta”
Baumann constata che oggi la rotta è cambiata “ come se quell’angelo fosse colto nel bel mezzo di un’inversione di marcia: Il volto dal passato si rivolge al futuro, le ali vengono respinte dalla tempesta che, stavolta, spira dall’inferno del futuro (immaginato, previsto e temuto prima ancora che accada) verso il paradiso del passato (un passato probabilmente solo raffigurato a posteriori, dopo averlo perduto e visto andare in rovina”. ….. “ Tocca ora al futuro, deprecato perché inaffidabile e ingestibile, finire alla gogna ed essere contabilizzato come voce passiva, mentre il passato viene spostato tra i crediti e rivalutato, a torto o a ragione, come spazio In cui la scelta è libera e le speranze non sono ancora screditate.”
In preda ad una nostalgia “restauratrice” che ci promette di ricostruire la nostra casa ideale siamo invitati dalle nuove ideologie “ad abbandonare il pensiero critico per i legami emotivi” ed assistiamo ai “ risvegli nazionali e nazionalistici in tutto il mondo dediti alla mitizzazione della storia in chiave antimoderna attraverso il recupero di simboli e miti nazionali e, talvolta, il baratto di teorie cospiratorie.” (Boym cit. da Baumann) Quanto siano azzeccate ed attuali queste teoriche considerazioni ce lo dicono i risultati delle recenti elezioni non solo italiane e non solo europee e ce lo mette sotto gli occhi la cronaca quotidiana.
La nostalgia restauratrice è la stessa che in termini analitici chiamiamo regressione, un meccanismo di difesa che ci fa tornare a modi di sentire e comportarci tipici di un livello precedente a quello dello stadio psichico in cui ci troviamo. Tale meccanismo viene messo in atto per lo più inconsciamente dal nostro Io per difendersi da situazioni angoscianti e percepite come un pericolo per il nostro equilibrio o addirittura la nostra integrità psichica. Balint ha dedicato alla regressione molto lavoro clinico e teorico oggi ingiustamente dimenticato. Proprio questo analista „migrante“ dimostra quanto radicata sia la tendenza alla regressione e quanto difficile e faticoso sia liberarsene. Anziché far appello alla ragione o alla morale, Balint indugiava con i suoi pazienti per un certo tempo nella regressione „accompagnandoli“ da vicino nel difficile lavoro finale di separazione dal terapeuta (tecnica che gli attirò peraltro non poche critiche dai tutori della psicoanalisi ortodossa). Naturalmente sappiamo tutti (a parole) che indugiare nell‘aureo (a posteriori) passato, piangere sul latte versato, perso o abbandonato non porta a nulla. Intuiamo che il nuovo è, può essere meglio del vecchio, non a priori ma in quanto aperto a possibilità inesplorate. Eppure di fronte a tante importanti decisioni private e professionali, pur vedendo il nuovo scegliamo il vecchio, privandoci noi stessi di una libertà che sarebbe a portata di di mano. Anche in questi casi far appello alla ragione dell‘innovazione è comprensibile, certo sensato ma non basta. Ancora a meno serve svalutare chi si lascia travolgere dalla paura e sceglie il vecchio, perché, come diceva qualcuno che di paura si intendeva molto „Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare“. (Io aggiungerei: da solo) Tradotto in termini più attuali, come scrive Marco Bentivogli „Negare il bisogno di sicurezza degli italiani serve ad aumentare l‘insicurezza. E l‘insicurezza, o meglio la sua percezione, funziona elettoralmente“
Uscire dalla regressione, dalla malinconia, dalla Retrotopia imperante è difficile e faticoso, ma, insieme!, possibile. Come scrive ancora, mirabilmente Marco Bentivogli: „mettere insieme chi non si è arreso alla cultura degli alibi è la sfida dei prossimi giorni. Il che significa unire chi non ha mai accampato scuse per la propria responsabilità personale, né l‘ha annegata nell‘irresponsabilità collettiva“.
Immagine tratta da „Angelus Novus“ di Paul Klee Wikipedia
suggerimento musicale, a cura di @marcoganassin : Everybody’s Coming to my House, from American Utopia, Detroit