Sembra indubbiamente più facile raggiungere ultima Thule o atterrare sulla faccia nascosta della luna che sbarcare in un porto del Mediterraneo. Almeno per i 49 migranti salvati dalla SeaWatch 3 e dalla Professor Albrecht Penck di fronte alle coste libiche e divenuti oggetto di un gioco a rimpiattino tra le cancellerie europee. Ragion per cui questi uomini e donne da 14 giorni attendono con il mare e l’animo in tempesta il loro destino sulla coperta di due navi. Ciò, nonostante diverse città tedesche e italiane e anche olandesi si siano dichiarate disponibili ad accoglierli. Dum Europaae consulitur…. cosa fare? Me lo sono chiesto come molti altri e senza invero molto (nulla?) riflettere, il tweet in resta come da tempo non più, mi sono buttato nella battaglia social contro i mulini a vento. Avrei voluto, (continuo a voler) favorire il collegamento social di tutte le persone che nei diversi Stati europei hanno a cuore i migranti in difficoltà. Credo, forse ingenuamente, siano molte più di quelle che li vorrebbero veder affogare in mare o rispedire nei lager libici da cui sono fuggiti. Ho ritenuto che il primo obiettivo fosse quello di giungere ad un # (Hashtag) comune per tutti gli stati europei, capace di raggiungere tutte le persone interessate al tema, per lo scambio di informazioni corrette ed attuali ma anche di opinioni. Entrato in contatto con altri twitteri tedeschi, ho appreso che di tali Hashtags ne esistono già diversi: oltre a #PortofSafety anche #seebruecke #United4Med #TogetherForRescue. Ho però constatato che nella quasi totalità dei casi si tratta di account e tweet tedeschi, essendo appunto la Seewatch tedesca. Manca in tal modo la possibilità di uno scambio e di un confronto con cittadini di altri stati europei. Mi sembra questo un punto centrale. I cittadini di ogni stato europeo ritengono di essere quelli che più di tutti hanno dato per i migranti e più di tutti hanno da loro ricevuto danni e torti. Naturalmente è una percezione errata (non foss’altro che per una questione di statistica) ma quando sentiamo chiuderci lo stomaco e mancarci il respiro per la paura del volo, dirci che l’aereo è il mezzo più sicuro non ci aiuta per nulla. Su tale errata percezione e sui sentimenti di paura e rabbia che ne derivano fanno leva i populisti delle diverse nazioni europee che dicono agli italiani prima gli italiani, ai francesi prima i francesi, agli ungheresi e così via. (E se ci fossero gli Stati Uniti d’Europa direbbero prima gli europei e se poi ci fossero gli Stati Uniti del Mondo prima i terrestri…). Credo che solo dal confronto diretto tra “primi” possa nascere la dolorosa ma necessaria consapevolezza che tutti questi “prima gli” sono come il Premium dei prodotti commerciali, la (costosa) percezione cioè che viene indotta in tutti i clienti di essere gli unici clienti privilegiati.
Nel mio assai poco efficiente girovagare per Twitter ho però anche constatato che quando ONG e istituzioni locali si incontrano a distanza ravvicinata o quasi, possono nascere fruttuose collaborazioni anziché pregiudiziali conflitti. Ne sono un bell’esempio le lettere del Sindaco di Napoli, Palermo etc. In questi casi, oltre alle indubbie motivazioni politiche, conta il fatto che il punto di vista cambia. Poiché si tratta di organizzare misure concrete (di trasporto, alloggio etc) i migranti tornano ad essere percepiti come uomini con le loro esigenze concrete, anziché come problemi, cifre, bilanci, nell’ambito di un conflitto di potere tra gli Stati. È anche l’insegnamento che ci viene dagli studi di psicologia e sociologia. Se dobbiamo guardare in faccia il vicino, per quanto diverso, facciamo un po’ più fatica ad essere inumani con lui (non è però impossibile). Quando il soldato ha di fronte a sé il nemico a pochi passi è più facile che lo riconosca come uomo. È lo stesso motivo per cui, per smontare i pregiudizi razziali e di qualsiasi tipo, il contatto diretto con il “diverso” è molto più efficace di ogni lezione teorica (anche per questo sarebbe così importante organizzare giorni delle porte aperte in tutti i centri d’accoglienza per migranti). Sono il confronto e il pur fugace rapporto che si crea tra uomini (fortunati e meno) a permettere una nuova conoscenza e forse nuova attitudine verso i migranti e le migrpazioni.
Ho infine appreso che secondo l’avvocato Maestri ognuno di noi può presentare una diffida umanitaria che richiami il governo alle sue responsabilità
Insomma, non sono riuscito a combinare nulla di concreto per i 49 migranti della SeaWatch né per altri, ho ricevuto la mia giusta dose di frustrazione per la mia megalomania. Ho però conosciuto persone con interessi simili, punti di vista diversi, intravisto altre strade che altri magari potranno battere. Mi è divenuto inoltre sempre più chiaro che l’analogia con l’atterraggio della sonda cinese sulla luna e con quella della sonda che ha fotografato Ultima Thule non è poi così bizzarra. Nonostante il clima sociale e politico attuale tendano a farci percepire il soccorso e l’aiuto ai migranti come una questione di infantile regressivo buonismo, le migrazioni e l’approccio alle stesse sono un capitolo del nostro futuro, sul quale possiamo decidere o meno di investire. Paesi come la Svizzera, dove risiedo, hanno vissuto conflitti analoghi già negli anni 70. Allora erano gli italiani ad essere percepiti ed additati come brutti sporchi e cattivi, a dover subire discriminazioni e umiliazioni di ogni sorta, nonché la minaccia di venire espulsi. Anche allora ci si è resi conto solo troppo tardi che ci cercavano “braccia” ed erano arrivati “uomini”. Eppure, nonostante ingiustizie e sopraffazioni, si è sviluppata un’effettiva integrazione tale per cui emigrati italiani di seconda e terza generazione sono ora a tutti gli effetti rispettati e rispettosi cittadini della confederazione elvetica. È talvolta commovente ascoltare gli italiani di prima generazione raccontare con legittimo orgoglio dei successi scolastici e lavorativi dei loro figli e nipoti e delle prestigiose posizioni sociali ed economiche da loro raggiunte. L’ascensore sociale ha funzionato e funziona in Svizzera ed ha consentito alla nazione di crescere proprio grazie alla diversità dei tanti immigrati che arrivano da ogni parte del mondo. Analogamente nel più grande paese di immigrati del mondo gli USA il presidente repubblicano Reagan nel suo discorso di commiato sottolineava con passione che proprio la diversità dei suoi immigrati ha fatto grande l’America. La cancelliera tedesca Merkel ha probabilmente perso le elezioni anche e soprattutto per la sua lungimirante decisione di aprire le frontiere tedesche a un milione e più di profughi. Gli effetti positivi di quell’apertura e della conseguente politica di integrazione si stanno però ora, a soli tre anni di distanza, manifestando.
Accanto agli investimenti in nuove tecnologie l’Europa deve decidere se e come investire in risorse umane. Può bearsi del proprio glorioso passato e rinchiudersi in esso alzando nuovi muri di illusoria protezione attendendo la propria fine. L’aveva già fatto l’imperatore Adriano, sappiamo tutti, tranne Trump, come è andata a finire. Oppure in nostro continente può decidere di guardare agli uomini alle donne che fuggono dalle guerre e dalla povertà dell’Africa come ad una incommensurabile risorsa per il proprio futuro. I nostri figli ci chiederanno conto di cosa abbiamo fatto di quei 49 uomini su due barche. Se ci siamo girati dall’altra parte come altri prima nel secolo scorso o se abbiamo dato a loro e a noi una chance di futuro.
Suggerimento musicale: Schubert, der Wanderer, (Il viandante) D493