Hawuwei ha reso compiuta l’incompiuta di Schubert Uno dei più celebri capolavori incompiuti della storia della musica, l’ottava sinfonia appunto, composta da Schubert nel 1822 possiede ora, grazie all’intelligenza artificiale, anche il terzo e il quarto movimento che il musicista tedesco non aveva mai portato a compimento. La controversa ditta cinese di smartphone ha fatto eseguire con compiaciuto clamore mediatico la sinfonia completata a Londra, nella Cadogan Hall prestigiosa sede della Royal Philharmonic Orchestra lo scorso 4 febbraio. I due movimenti mancanti della sinfonia sono stati ricostruiti non sulla base di appunti di Schubert ma grazie al modello di intelligenza artificiale dello smartphone Mate 20 Pro che ha analizzato il timbro, il tono e il metro del primo e del secondo movimento della sinfonia proponendo alcuni sviluppi creativi. Le proposte dell’intelligenza artificiale sono state esaminate, valutate, scelte e rifinite da un compositore contemporaneo Lucas Cantor, vincitore di Emmy e autore di musiche per le cerimonie inaugurali delle olimpiadi. Il suo compito, afferma lui stesso con “modestia”, sarebbe stato quello di estrarre i brani buoni, riempire le lacune e assicurarsi che il tutto potesse essere suonato da un’orchestra sinfonica.
Il risultato è stato invero, a detta di molti critici, assai modesto. Il critico musicale della NZZ arriva a sostenere che si tratta di “musica pop così modesta che qualsiasi studente di composizione al 5 semestre avrebbe potuto comporre qualcosa di meglio” Per quel che può valere il mio giudizio assolutamente non professionale mi sembra una sorta di pomposa marcia trionfale non particolarmente significativa, più adatta alle cerimonie inaugurali delle olimpiadi che a concludere un capolavoro. Nessuno peraltro si aspettava un’opera d’arte. La ditta ha avuto il clamore mediatico che le ha consentito di deviare l’attenzione dai suoi presunti problemi di spionaggio informatico, i critici hanno avuto facile lavoro a smontare il mito del capolavoro di intelligenza artificiale E quest’ultima ha conquistato intanto un altro spazio di legittimazione. Mi sembra però più interessante analizzare la cosa da un altro punto di vista. Innanzitutto da quello dell’etica. Secondo i criteri proposti da Floridi e dal comitato da lui presieduto per un’etica dell’intelligenza artificiale (An Ethical Framework for a Good AI Society) tenderei rapidamente (forse superficialmente) a giungere alla conclusione che il completamento dell’opera non sembra violare i principi etici fondamentali della beneficience, non maleficience e della justice.
Si potrebbe discutere sulla presunta limitazione di autonomia dell’essere umano che tale composizione porta con sé. Significativa al riguardo la discrepanza tra le dichiarazioni relative all’opera da parte del compositore e della ditta. Mentre il primo sottolinea che a lui è stato affidato il compito di portare a compimento l’incompiuta di Schubert “avvalendosi dell’aiuto dell’intelligenza artificiale”, Hawuwei mette chiaramente l’accento sulla sfida cui è stato chiamato il processore artificiale e sulla riuscita di quest’ultimo nel cimentarsi con una delle più alte vette della cultura, per di più occidentale. Potrebbe essere interessante verificare concretamente come il conflitto verrà risolto quando si tratterà di riscuotere i diritti ma è questione giuridica che confesso non mi non mi appassiona particolarmente. Non pienamente soddisfatto mi sembra poi il criterio dell’explicability poiché poco o nulla, per quel che ne so, ci è stato detto su come sia stato possibile giungere a questo risultato (è il solito tema degli algoritmi che vengono spesso assunti come dogmi).
Ancora più interessante mi sembra tuttavia il punto di vista artistico. Di fronte ai sempre più frequenti ibridi tra umano e digitale cui assistiamo anche in ambito artistico è indubbia la capacità dell’intelligenza artificiale di ispirare l’arte, come d’altro canto ogni forma di innovazione precedente ha fatto nella storia dell’arte. Nè è stato uno splendido esempio LOW FORM Low Form, Immaginari e visioni nell’era dell’intelligenza artificiale, la mostra tenutasi al MAXI dedicata al rapporto tra Arte e Intelligenza Artificiale con i non meno interessanti dibattiti che hanno accompagnato l’esposizione.
Allo stato attuale, al mio assolutamente non professionale giudizio, sembra invece assai più controverso l’altro lato della medaglia, se cioè l’intelligenza artificiale possa creare arte, almeno quella che attualmente così denominiamo. Della creazione artistica mi sembra infatti faccia anche parte una sorta di perenne insoddisfazione per l’incompletezza, l’inadeguatezza della stessa che ovviamente non è data nei processi “creativi” dell’intelligenza artificiale.
Scrive, a mio avviso splendidamente al riguardo, Iris Murdoch, che cito da brainpickings
A motive for change in art has always been the artist’s own sense of truth. Artists constantly react against their tradition, finding it pompous and starchy and out of touch… Traditional art is seen as far too grand, and is then seen as a half-truth.
A technological society, quite automatically and without any malign intent, upsets the artist by taking over and transforming the idea of craft, and by endlessly reproducing objects which are not art objects but sometimes resemble them. Technology steals the artist’s public by inventing sub-artistic forms of entertainment and by offering a great counterinterest and a rival way of grasping the world.
Great art, especially literature, but the other arts too, carries a built-in self-critical recognition of its incompleteness. It accepts and celebrates jumble, and the bafflement of the mind by the world. The incomplete pseudo-object, the work of art, is a lucid commentary upon itself… Art makes a place for precision in the midst of chaos by inventing a language in which contingent details can be lovingly noticed and obvious truths stated with simple authority. The incompleteness of the pseudo-object need not affect the lucidity of the mode of talk which it bodies forth; in fact, the two aspects of the matter ideally support each other. In this sense all good art is its own intimate critic, celebrating in simple and truthful utterance the broken nature of its formal complexity.
Nel completamento (più che nella completezza) dell’incompiuta di Schubert ad opera del processore Hawuwei mi sembra di ritrovare l’auto-celebrazione acritica, l’euforia sub-artistica così ben descritta dalla Murdoch.
In ogni caso l’opera di Hawuwei- Cantor ha indubbiamente un merito. Quello di contribuire a ridurre l’angoscia per un’intelligenza minacciosa e onnipotente e di far invece comprendere quanto più originale (e fallace) sia la nostra.
Immagine tratta da www.ingenieri.info
Suggerimento musicale: Schubert, Sinfonia n 8, incompiuta, nella ricostruzione di Mario Venzago