Che potere ha chi non ha potere?
Leggendo le reazioni all’uccisione del generale Soleimani ordinata da Trump ripensavo al pregnante post scritto da Luca De Biase su potere, responsabilità e rospi. Dopo aver distinto tre possibili modalità di reazione dei potenti di fronte alla responsabilità intrinsecamente connessa al potere, De Biase conclude che
„È la comunità che deve organizzarsi e maturare culturalmente in modo da guidare i potenti a prendersi le loro responsabilità.“
Cerco di „sviluppare il tema“. Inizialmente mi viene da pensare che in questo modo la responsabilità venga scaricata su chi il potere non ce l‘ha. Oltre a doversi subire il potente, la comunità deve pure guidare la sua guida. A prima vista un paradosso. A ben pensarci questa è però l‘essenza della democrazia nella quale appunto la „sovranità appartiene al popolo“ che, nelle forme previste dalla legge, sceglie attivamente colui/coloro al quale/ai quali affidare un potere democraticamente calibrato. Ognuno di noi dunque ha il potere di delegare il (proprio) potere attraverso il voto, locale, regionale, nazionale o addirittura sovranazionale.
Non solo. Nella nostra società digitalizzata della conoscenza ciascuno di noi ha inoltre accesso alla conoscenza, che, come si sa, è potere. Ciascuno di noi ha dunque non solo un efficace e democratico strumento per esercitare il proprio potere ma ha anche l‘accesso alla conoscenza per controllare che il potere venga gestito al meglio.
Viviamo dunque nel migliore dei mondi possibili? Naturalmente no, nel senso che ci accorgiamo tutti che non è così. Ma anche sì perché il sistema di controllo del potere e della conoscenza è altrettanto indubitabilmente il più avanzato messo a punto nella storia dell’umanità.
Perché non funziona allora? Mi verrebbe da rispondere perché anche chi non ha il potere o meglio chi ha poco potere, cioè ognuno di noi, si comporta, esattamente come i potenti, in uno dei tre modi indicati da Luca De Biase :
C’è
– chi si assume le proprie (modeste) responsabilità a vantaggio della comunità
– chi non si assume nessuna responsabilità e pensa solo al proprio tornaconto „particulare“
– chi si dà da fare senza successo e ingoia rospi
Aggiungerei una quarta categoria forse percentualmente più diffusa sui social (si scherza)
– chi non si dà molto da fare ma sputa rospi e sentenze
Se la spinta egoistica non viene temperata dall’altruismo (eticamente, politicamente, religiosamente motivato che sia) ognuno di noi pensa solo a sé stesso. Se anche la vanità del mettersi narcisisticamente in mostra viene meno, sembra non rimanere altra strada che ingoiare rospi nella speranza che qualcun altro più forte di noi li faccia ingoiare agli altri. Fuggiamo dalla nostra libertà di esercitare un diritto, di assumerci la responsabilità di informazione e di controllo sul potere e proiettiamo incondizionatamente e inconsciamente sull‘uomo di potere la nostra rivincita. Non è poi così strano che quest‘ultimo si senta investito di poteri incondizionati che non gli vengono attribuiti dalla legge ma dalle nostre proiezioni. Le stesse proiezioni che ci inducono a credere alle bugie che gli uomini di potere ci raccontano perché, come confermano molti studi è molto più facile credere a quello che ci fa comodo che non a quello che è vero. Arriviamo addirittura al punto di sentirci meglio non se raggiungiamo noi migliori condizioni di vita ma se almeno altri (chiunque essi siano) stanno un po‘ peggio di noi.
Non vedo trasformazioni magiche in vista. Siamo rospi e lo rimaniamo anche ai tempi dell’intelligenza artificiale, che è straordinaria ma non ha (ancora) la capacità di bacio delle principesse. Abbiamo però, anche grazie al digitale, la possibilità di vederci allo specchio, di riflettere sulla nostra imperfezione, di dialogare sul nostro futuro ambientale e sociale. Non siamo costretti a mangiare (altri) rospi. Possiamo anche fare piccoli salti. Sulle nostre zampe.
Immagine: La principessa di Innsbruck, tratta da slow travel