“A questa fragilità… che è stata naturalmente considerata un handicap, vorrei forse attribuire la mia inclinazione a non essere fino in fondo sicuro delle mie idee e delle mie azioni, e a cercare di immedesimarmi nel limite del possibile nelle idee e nelle azioni degli altri, nella loro interiorità e nella loro soggettività“ Così scrive Eugenio Borgna nel suo ultimo saggio Il fiume della vita, una storia interiore. Questa frase, ramificata come i flessuosi tralci di una robusta vite, racchiude, mi sembra,il cuore dell’atteggiamento di Borgna nei confronti della sua professione e della vita stessa. Uno dei più grandi psichiatri italiani confessa la sua fragilità, individuandovi al contempo la chiave che gli ha consentito di scavare in profondità e cogliere l’esistenza di chi gli sta di fronte. Perché tale immedesimazione è – non si stanca di ripetere Borgna – „ il solo modo… di giungere a conoscere quello che noi siamo nella nostra interiorità“. Condividendo con il lettore i suoi ricordi d’infanzia e di adolescenza, lo psichiatra non ha paura di raccontare gli scherzi che gli ha giocato l‘emotività nella sua vita: „ quando ero interrogato, anche se mai impreparato, l’ansia non mi consentiva di fare bella figura, e le risposte, che riuscivo a dare alle domande non erano sempre le migliori. L’emotività mi è stata compagna di vita negli anni del liceo e della laurea in particolare ma nemmeno scompariva nelle altre età della mia vita quando ero interrogato e quando dovevo parlare in pubblico. … Le espressioni della mia emotività sono sempre state imprevedibili, non dipendevano dalla complessità degli argomenti e semmai dal modo con cui erano formulate le domande e dall’attenzione o dall’indifferenza che coglievo o mi sembrava di cogliere nelle persone che mi ascoltavano.” Raccontando del periodo in cui la sua famiglia aveva dovuto rifugiarsi in un paesino di montagna per sfuggire ai tedeschi mentre il padre “si trovava con i partigiani cattolici nelle valli dell’Ossola”, Borgna ci rende partecipi delle “emozioni così profonde e così laceranti” di allora e ci rivela: “ la solitudine e il silenzio mi consentivano di riflettere sul senso della vita, di seguire il cammino verso la mia interiorità, di ripensare alla banalità del male […] di ascoltare con stupore del cuore l’arcano suono delle campane”. Quelle esperienze e quelle riflessioni l’hanno “portato a non venir mai meno alla gentilezza e alla mitezza nelle relazioni interpersonali”. Quegli stessi vissuti l’hanno aperto alla musica, “come inseparabile compagna di vita” e ancor più alla letteratura della quale tutte le sue opere sono intessute. Nessun altro psichiatra è riuscito con tanta maestria e tenerezza a trovare nella letteratura le parole che mancavano alla psichiatria per dar voce ai pazienti, per esprimere “ la gentilezza e la tenerezza, la sensibilità e talora la dolcezza, il volto e gli sguardi, il sorriso e le lacrime delle pazienti”. Di questa psichiatria gentile che Borgna ha impersonato, egli ci racconta lo sviluppo, dalla direzione della sezione femminile del manicomio di Novara, al servizio ospedaliero di psichiatria di Novara fino alla libera professione e al pensionamento. In questo viaggio, interiore ma anche storico, ritroviamo le persone, gli scrittori, i poeti, i personaggi letterari che conosciamo dagli altri libri di Borgna. Ma, come dice Wittgenstein “cambiano le parole e cambia il mondo della vita in cui siamo immersi”. Non cambia però per Borgna il senso della psichiatria che, con le parole di Bleuler, egli ritiene consistere nel “dare una mano a chi è naufragato sugli scogli della disperazione”. Inalterate rimangono per Borgna “le cose che dovremmo ricordarci di fare quando la vita ci porta anche solo per un attimo dinnanzi ad una persona malata: guardarla negli occhi con tenerezza, tenerla vicina, darle la mano, sorriderle, sondare […] non la memoria cronologica la memoria dei fatti dei nomi e dei numeri che angoscia e lacera il cuore ma la memoria vissuta, la memoria involontaria, la memoria emozionale dalla quale rinascono i ricordi, le schegge dei ricordi che hanno dato un senso alla vita alla propria vita e a quella degli altri, non spegnendo ancora una volta la speranza”.
Ecco, un “libro che consentirà a chi lo legga nel silenzio del cuore di conoscere qualcosa di una vita che ha avuto la psichiatria come sua fragile compagna di strada: come sua fonte di riflessione sulla condizione umana ferita dal male di vivere e non di meno aperta ai bagliori della speranza, che è la goethiana stella cadente, alla quale sempre guardare nelle notti oscure dell’anima”.
Foto: Getty Images/iStockphoto
Suggerimento musicale: Smetana, Moldau