L‘Italia, intendo. Riuscirà il nostro paese a risollevarsi dalla drammatica crisi sanitaria e più ancora sociale, politica, ambientale e finanziaria in cui attualmente si trova o la pandemia sarà l’ultimo atto di un declino che porterà l’Italia a fare la fine di Eco e la condannerà, come la ninfa, a ripetere solo le parole altrui dagli anfratti delle sue gloriose rovine? Avranno ancora un futuro i nostri e le nostre giovani o saranno sempre più costretti/e a cercarlo all‘estero mentre il paese si trasformerà in una gigantesca casa di riposo, certo panoramica e dal celebre passato ma senza ambizioni di futuro?
Forse uso toni troppo drammatici o drammaturgici ma tornando, dopo il lockdown regolarmente, in Italia e incontrandomi con familiari, amici, colleghi/e percepisco un’inestricabile cappa di paura, incertezza, insicurezza, rabbia, sfiducia, cinismo, rassegnazione. Non è certo cosa nuova per il nostro Paese da lungo ormai avvezzo a un nostalgico declino ma mai mi era capitato di percepire tale atmosfera con tanta intensità e pervasività. Mettendo in dubbio, com’è doveroso, la mia percezione, l‘ho confrontata con quella di altri sia di persona che sulla stampa, sui social. Mi sembra di aver trovato purtroppo solo quotidiane conferme. È tutto un “vediamo…, per il momento non si può, …meglio aspettare, forse, però, magari più tardi… chissà?, ma cosa succederà se?…” Un clima emotivo al quale calza perfettamente la metafora di Luisa Todini, secondo la quale “Il Paese è in un regno di mezzo”
Tali sentimenti e atteggiamenti di incertezza e insicurezza sono quanto mai comprensibili quando si guardi solo un poco indietro ai mesi scorsi nei quali gli italiani hanno vissuto un vero e proprio incubo e hanno dimostrato, a parte rarissime eccezioni, grande spirito di sacrificio e di sopportazione e un’inaspettata disciplina, certo di gran lunga più lodevoli dell’impreparazione e dell’inadeguatezza offerti dal governo centrale e da regioni quali la Lombardia. Sembra però che lo sforzo sia stato così intenso e l’angoscia attuale ancora così forte da ostacolare ora ogni passo in avanti o da renderlo comunque estremamente difficile e faticoso. La scuola, che è appunto il futuro del paese, ne è la miglior metafora. La ministra dell’istruzione ha addirittura scomodato la Storia con la S maiuscola per proclamare che (finalmente) la scuola riaprirà, cosa che in tutti gli altri paesi europei era già accaduta a maggio-giugno. Non bisogna essere Freud per vedere che la pandemia, così come ogni sciagura (naturale e/o umana che sia), scoperchia la facciata, personale e collettiva, e mette in mostra le debolezze strutturali di ogni persona e nazione. Così è stato per gli USA in cui l’emergenza COVID-19 oltre a evidenziare le disuguaglianze del sistema sanitario statunitense ha riaperto ferite razziste mai del tutto sanate. Così è successo per il sistema sanitario inglese – cui tra l’altro il nostro si è ispirato – travolto dalla trascuratezza in cui era stato fatto sprofondare. In Italia, al di là dei lodevoli sacrifici di tutto il personale sanitario e in definitiva di tutti i cittadini, sono venute allo scoperto le magagne strutturali di un sistema che vive in perenne emergenza, non investe nel futuro (scuola, ricerca, ambiente), si fida poco e male della scienza, e fa pagare alle generazioni future le proprie incapacità e la propria pigrizia, come non si stanca di spiegare Veronica De Romanis. Quanto mai significativo il messaggio del Presidente Mattarella al Forum di Cernobbio: «La crisi obbliga a fare un ricorso massiccio al debito e non dobbiamo compromettere con scelte errate il futuro delle nuove generazioni»
Non avendo alcuna competenza politica o finanziaria, ho proposto, dal punto di vista psicologico, che quest’atmosfera cupa di tristezza, rabbia, incertezza, sfiducia, rassegnazione venga elaborata , così come ogni altra perdita, in un processo di lutto che ci consenta di accettare la perdita di sicurezza e di normalità subita, superarla e tornare a progettare e sperare. Può darsi che il mio concetto di elaborazione del lutto sia una solenne stupidaggine, che vi siano concetti, atteggiamenti, modi molto più sensati, utili, pratici. Sarei felicissimo se in un qualsivoglia modo se ne discutesse. Irrigidirsi nella paura, nella rabbia, farsi paralizzare dall’insicurezza è comprensibile e umano. Negare il virus o la sua pericolosità è pure umano, anche se stupido e pericoloso. Confrontarsi, discutere animatamente ma seriamente, senza dilaniarsi in fazioni aiuta a superare la paura, a trovare nuove strategie, a instillare nuova fiducia dopo tanta sofferenza e delusione. I dati relativi alla scarsa fiducia degli imprenditori italiani a fronte della pandemia rilevati nel meeting di Cernobbio ne sono un esempio significativo soprattutto se confrontati ad es. con l’alto livello di fiducia di uno stato quale la Danimarca in cui la fiducia svolge un ruolo decisivo nella costruzione e nel mantenimento del welfare.
Elaborare una perdita non è un discorso astratto per esclusivi salotti psicoanalitici. Vuol dire invece, come facciamo per la scomparsa di una persona cara, confrontarci con i nostri dolorosi sentimenti, aprirsi a persone di fiducia, ricostruire una rete di sostegno dopo un doloroso quanto necessario periodo di isolamento. Elaborare il lutto comporta anche, anziché parlare solo di banchi, mascherine, momenti statici e dinamici, curarsi delle emozioni e dei sentimenti che la riapertura della scuola suscita in alunni, docenti, genitori, stanziare qualche briciola per allestire regolari incontri condotti da psicologi, psichiatri, pedagogisti (ad esempio gruppi Balint) su base volontaria per aiutare i docenti a gestire le inevitabili tensioni che già dalle prossime settimane si scateneranno nelle classi e nelle relazioni con i genitori ma anche le normali e faticose dinamiche di classe. Elaborare il lutto vuol dire anche istituire supervisioni standardizzate in ogni reparto medico ed istituzione socio-sanitaria. Superare la perdita implica che venga fatta una perizia scientifica sulla gestione della pandemia nelle regioni maggiormente colpite per documentare con rigore scientifico quali strategie hanno funzionato e quali hanno prodotto danni. (Qui il riassunto in fumetti della strategia tedesca contro la pandemia a cura della MIT technology review). Andare oltre la perdita implica creatività, investimenti in innovazione e ricerca, come suggerisce ad es. Federico Ronchetti con il #pianoamaldi.
Elaborare un lutto significa anche rimettersi in discussione, individuare vecchie e nuove risorse, investire su nuovi progetti, trovare un nuovo equilibrio. Possiamo ancora trovare parole nostre prima di ripetere quelle altrui. Forse.
Immagine: Eco di Alexandre Cabanel, Wikipedia
Suggerimento musicale: Arvo Pärt, Spiegel im Siegel