Tutti vorremmo voltare pagina. A tutti, ai più almeno, piacerebbe non sentir più parlare di virus SARS-CoV-2, di pandemia, non doversi più preoccupare di contagi, malattie, morti da COVID19. Tanti sarebbero desiderosi di mettere in atto quel poco che forse! (mah) in questi mesi abbiamo individualmente e collettivamente imparato. A tanti piacerebbe tornare ad una normalità ormai irrimediabilmente perduta. Le informazioni che ci vengono dal mondo sanitario sembrano però andare in un’altra direzione. Non solo perché i casi di COVID-19 continuano ad aumentare e il tanto agognato vaccino non è ancora disponibile ma anche perché ai gravi danni organici prodotti dal COVID-19 si aggiungono quelli psichici, dei quali si comincia ormai a parlare con maggiore cognizione di causa. Anche se gli studi sono ancora insufficienti, tutti quelli finora condotti (in particolare in Cina, Spagna e più recentemente negli USA) dimostrano durante la pandemia un aumento della percentuale di disturbi psichici in particolare di sintomi di ansia, depressione e stress in conseguenza di fattori stressanti della pandemia quali scombussolamento della vita, paura della malattia, timore delle conseguenze economiche negative, come già indicato da un articolo di Lancet Psychiatry del settembre scorso. Ora uno studio apparso sulla rivista Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR) rileverebbe uno sconcertante aumento dei disturbi psichici nella popolazione USA con una prevalenza dei disturbi ansiosi fino a tre volte quella riportata nel secondo quadrimestre del 2019 (25,5 % contro l’8,1%) e dei disturbi depressivi fino a quattro volte quella del secondo quadrimestre del 2019 (24,3 % contro 6,5%), anche se gli stessi autori fanno notare che i dati, ottenuti con altre metodologie, potrebbero non essere paragonabili.
Aldilà delle percentuali, che devono essere confermate da più approfondite ricerche longitudinali, i primi ormai significativi studi evidenziano che la pandemia provoca un aumento dei disturbi psichici nella popolazione generale e che tale incremento è molto eterogeneo colpendo in particolare i gruppi sociali più deboli (negli USA, ispanici, neri, lavoratori delle fasce sociali più basse) oltre che soggetti già precedentemente affetti da disturbi psichici – che presentano tra l’altro un maggior tasso di mortalità.
Discutere dei disturbi psichici indotti dal COVID-19 è certo faticoso dopo aver dovuto assistere impotenti a tante malattie e morti ed essendo ancora attanagliati dalla pandemia. Ma può essere anche un’occasione per far decollare un dibattito che si è ormai stancamente ridotto solo a numeri, statistiche e contrapposizioni più caratteriali e ideologiche che scientifiche. Parlare dei disturbi psichici provocati dalla pandemia significa anche passare dalla biologia alla psicologia, non fermarsi al contagio in sé ma chiedersi cosa suscita in noi, quali sono le paure che scatena e quali invece le emozioni che possono agire da fattori di protezione, come ad esempio il senso di solidarietà. Elena Marta e Daniela Marzana ritengono ad esempio che la “spinta alla solidarietà e all’azione è stata evidente anche per i più giovani che pure sono stati il gruppo più duramente colpito dal clima di incertezza provocato dall’emergenza sanitaria e ancora di più dalle sue ricadute sul medio e lungo periodo.”
Parlare delle emozioni che la pandemia e le sue ripercussioni scatenano in noi, dar loro un nome, esprimerle, condividerle, ascoltare quelle altrui, discuterne, è un modo per superare la paralisi della paura, la trappola della rabbia. Nel dialogo possiamo realizzare che la tristezza è un sentimento comune, normale, che può affliggere tutti noi quando ci sentiamo impotenti di fronte a un evento doloroso e inquietante che ci priva dei nostri consueti punti di riferimento. Confrontarci con i nostri sentimenti e quelli altrui in un dialogo che diventi scambio e rapporto umano – e se necessario terapeutico- è anche il modo più efficace per prevenire lo stress e i disturbi psichici, che non cadono dal cielo ma si sviluppano dentro di noi sulla base dei fattori stressanti cui siamo sottoposti e ci sottoponiamo. Anziché opporre allo stress le nostre illuminate convinzioni illudendoci che siano infallibili, possiamo renderci conto di ciò che siamo costretti a vivere, elaborarlo dentro di noi, attribuirgli un significato personale, unico, che non ha più a che fare con la sola biologia ma diventa una parte della nostra storia di vita. Naturalmente anche il più sofferto processo di elaborazione psicologica non ci assicura la salute eterna, né l’immunità ai disturbi psichici. Eppure scavare dentro di noi, conoscerci, elaborare quello che ci accade, dargli senso, farlo nostro, condividerlo aprendoci al dialogo è a tutt’oggi l’innovazione più duratura che conosciamo.
Immagine tratta da: @IrenaBuzarewicz
Suggerimento musicale: Vivaldi, Giustino, Sento in seno una pioggia di lacrime