Un recente studio condotto in cinque nazioni, pubblicato su Royal Society Open Science ha dimostrato che, in tutti i paesi esaminati (Regno Unito, USA, Irlanda, Spagna e Messico), migliori capacità di calcolo e una maggiore fiducia negli scienziati sono associate a una minore suscettibilità alla disinformazione relativa al coronavirus. Il ché non mi sembra proprio una grandissima scoperta, piuttosto una tautologia: coloro che hanno una migliore formazione matematica – e, secondo altri studi, una migliore formazione in generale – hanno maggiore dimestichezza con la scienza, maggiore capacità critica e sono conseguentemente meno suscettibili alla disinformazione. Il problema è per quelli che tale formazione non hanno e che sono dunque più inclini a credere alla pseudo scienza e alle teorie cospirative. Lo spiega mirabilmente, con una delle sue semplici quanto efficaci metafore, Floridi nel Talk condotto da Felicia Pelagalli nell’ambito del progetto La salute in movimento. I concetti della conoscenza e della consapevolezza di non sapere possono essere rappresentati, dice Floridi, dal formaggio groviera (in realtà è l’emmental ma queste sono sofisticherie svizzere), il famoso formaggio con i buchi. Perché vi sia la consapevolezza del buco di conoscenza (il socratico “so di non sapere”) è necessario, sostiene Floridi, che intorno al buco vi sia il formaggio cioè la conoscenza intesa come educazione al conoscere, metodo scientifico, spirito critico. È proprio questa conoscenza scientifica a offrire la possibilità di renderci conto dei nostri limiti conoscitivi e a costituire al contempo la base e lo stimolo alla conoscenza e alla competenza. Abbiamo dovuto constatare che il formaggio della conoscenza scientifica e della competenza si è preoccupantemente diradato non solo nel sistema universitario e più in generale scolastico italiano ma anche nel dibattito politico e culturale internazionale. In assenza di formaggio la capacità di comprendere i buchi diviene scarsa, si prendono lucciole per lanterne e si genera un atteggiamento che non è di razionale e prudente capacità critica ma di sospettosa incertezza nei confronti di qualsiasi affermazione, sia scientifica che pseudo-scientifica che anti-scientifica.
In questa fase segnata dal rinnovato pericolo della pandemia avremmo invece quanto mai bisogno di riflessione critica e consapevolezza, soprattutto per aiutare i giovani che, come scrive De Biase nella sua newsletter, mostrano segni di sofferenza guardando al futuro: “ le ragazze e i ragazzi che per età non hanno ancora il problema del lavoro si dichiarano felici in larga maggioranza in Italia, ma appena cominciano a pensare al futuro e al lavoro cambiano “umore” e tono delle risposte” La metafora di Floridi si presta a questo punto a un’ulteriore interpretazione. Grazie a Wikipedia ho appreso che i buchi dell’emmental sono dovuti a sacche di anidride carbonica che si creano all’interno del formaggio durante la maturazione a seguito di un processo di fermentazione provocato da batteri anaerobi. Perché i buchi del formaggio conoscitivo si producano e vengano poi riconosciuti è dunque necessario che il formaggio maturi passando attraverso una fase di fermentazione. Rimanendo nella metafora, e sperando di non strapazzarla, potremmo dire che la fermentazione dell’emmental è per noi il processo di riflessione e elaborazione interiore che ci porta alla consapevolezza e dunque alla maturazione. Diamo avvio a questo processo quando cerchiamo faticosamente di riflettere sui nostri vissuti, le nostre emozioni e i nostri sentimenti, di elaborarli e di giungere ad una nuova consapevolezza del nostro stato d’animo, di noi stessi e della realtà che ci circonda. Abbiamo fatto tutti, credo, l’esperienza che l’elaborazione interiore di questi sentimenti è tutt’altro che facile e scorrevole anche perché ciò che proviamo è per lo più diverso da quello che vorremmo provare ed essere (il classico “vedo il bene ma faccio il male” paolino). I buchi di malessere che percepiamo in noi sono molto più grandi di quelli dell’emmental. La psicologia è nata (dalla morale) proprio per descrivere e comprendere questi processi interiori, le nostre dinamiche psichiche e le trasformazioni che ne derivano. Credo che mai come ora, nel bel mezzo della pandemia, abbiamo bisogno di comprendere cosa si agita dentro di noi per poterlo gestire al meglio. Ci troviamo in una fase della lotta contro il COVID-19 in cui la conoscenza scientifica relativa al virus è ancora molto scarsa e le sue ricadute pratiche (vaccini, terapie antivirali efficaci ) possono essere declinate solo al futuro. Le misure di prevenzione igieniche utili a livello individuale sono poche (lavarsi le mani, mantenere il distanziamento, portare la mascherina) e a livello collettivo (lockdown di vario tipo) limitanti per noi e dannose per l’economia. Oltre a essere responsabili e rispettosi di queste norme igienico-sanitarie, possiamo fare ben poco. È proprio quest’impotenza che, accoppiata al grave pericolo del Covid-19, ci rende la vita così difficile nei buchi della pandemia. L’impotenza si traduce spesso in nervosismo, tensione, rabbia, se non aperta aggressività. Eppure ciascuno di noi, opportunamente sostenuto, potrebbe fare molto nel processo di “fermentazione” interiore per gestire meglio il malessere. I processi psichici che si svolgono dentro di noi, hanno infatti, come quelli biologici, un carattere trasformativo. Così come la natura si evolve dando origine a specie sempre nuove capaci di migliore l’ adattamento all’ambiente, le nostre dinamiche interiori ci trasformano, ci consentono di adattarci e anche di trasformare più o meno efficacemente e sensatamente la realtà nella quale siamo inseriti. Grazie alla nostra capacità di elaborazione superiamo gli ostacoli della vita, cresciamo intellettualmente e sentimentalmente, sopravviviamo a perdite e lutti, creiamo nuove conoscenze e nuovi strumenti di comprensione.
Il primo passo psicologico potrebbe consistere nel guardare alla pandemia non come a un inevitabile trauma ma a un pericolo da gestire al meglio. Un interessante studio recentemente comparso sulla rivista Lancet Psychiatry paragona le misure di protezione adottate in Inghilterra durante i bombardamenti tedeschi della seconda guerra mondiale e quelle attuali contro il Covid-19. A livello psicologico le dinamiche sono in molti punti simili: l’esigenza di una difesa dei cittadini da un pericolo inizialmente sconosciuto e sottovalutato, la necessità di conciliare desideri individuali con esigenze collettive, la discrepanza tra sensazione di sicurezza soggettiva e protezione obiettiva dal pericolo, la contrapposizione tra esigenze di sicurezza e logiche economiche. Lo studio sottolinea tra l’altro come la seconda ondata di bombardamenti (1944) abbia provocato uno shock ancora maggiore della prima proprio perché la popolazione si era nel frattempo “adagiata” sulla sensazione che il pericolo fosse ormai cessato e non rispondeva con lo stesso senso di disciplina alle regole.
Oltre alla prevenzione e limitazioni dei contagi, al contact tracing, allo screening dei positivi e naturalmente all’assistenza e cura dei malati, l’obiettivo collettivo della fase attuale potrebbe essere quello di sostenere e favorire psicologicamente gli sforzi di ciascuno di noi per superare la perdita della normalità e adattarsi alla nuova situazione. Di fronte alle perdite, ai lutti e alle catastrofi tendiamo tutti a reagire con un processo in cinque fasi descritto dalla psichiatra Kübler-Ross. Attraverso la successione spesso caotica e ripetitiva delle fasi di negazione, rabbia, contrattazione e afflizione riusciamo a superare la perdita e giungiamo all’accettazione della nuova situazione, inizialmente temuta. Naturalmente si possono scegliere altri concetti interpretativi. Si può intender la pandemia come uno stressor e la nostra resistenza come un processo di adattamento (rispettivamente di disadattamento) per non incorrere appunto in un trauma (disturbo post-traumatico da stress). Possiamo trasformare la nostra esperienza in una narrazione per darvi senso in forza del nostro capitale semantico (Floridi). Qualunque sia e comunque si voglia interpretare il nostro processo di elaborazione interiore, esso è un tentativo di trasformare noi stessi e il nostro atteggiamento verso la realtà per adattarci meglio a quest’ultima e, entro certi limiti, trasformarla. Quello che sicuramente in questo momento non ci è di alcuna utilità è, come dice Merkel , agitarci. Tanto meno beccarci come i polli di Renzo rimproverandoci gli uni gli altri di aver/non aver detto, fatto, pensato questo o quello lacerando lo spazio collettivo della riflessione in contrapposizioni assurde (il virus esiste/è inscenato, vivo/morto) e irrazionali (tecnologia buona/cattiva, scuole chiuse/aperte, DAD/didattica in presenza) come ci ricorda Stefano Epifani Il ché non vuole affatto dire che i responsabili di inadempienze, errori o frodi non debbano venir chiamati a risponderne politicamente, professionalmente e giuridicamente. Nè che i nostri governanti non debbano agire subito, comunicando e spiegando, possibilmente con chiarezza e di giorno, le misure protettive e restrittive che intendono introdurre.
Ognuno di noi ha però dentro di sé risorse di riflessione e elaborazione che andrebbero incoraggiate, anziché inibite da regole ipertrofiche e dalla sollecitazione della paura. Attraverso un processo di fermentazione, che avviene faticosamente nelle profondità “anaerobie-inconsce” della nostra psiche, possiamo far maturare il nostro formaggio, divenire consapevoli dei nostri buchi e, connettendo la nostra con l’altrui maturazione, anche di quelli della società. Il processo di fermentazione e maturazione può divenire corale, aprirsi a nuovi sviluppi che non lascino indietro nessuno. Possiamo muovere, cambiare, migliorare la nostra salute interiore.
Immagine: Formaggio Emmentaler
Suggerimenti musicali:
Negazione: Parigi, o cara da La traviata di Giuseppe Verdi
Rabbia: Cortigiani, vil razza dannata da Rigoletto di Giuseppe Verdi
Patteggiamento: Eh via, buffone dal Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart
Afflizione: Che farò senza Euridice? da Orfeo e Euridice di Christoph Willibald Gluck
Accettazione: La legge accetto, o Dei da Orfeo e Euridice di Johann Christian Bach