L’andamento psicologico dopo la catastrofe

Se tornano le stesse condizioni, si ripetono gli stessi eventi? È la domanda che, in questa o altre forme, molti si pongono in questi giorni in relazione alla pandemia. Le risposte sono però diverse a seconda del punto di vista che prendiamo in considerazione. La matematica e la fisica ci forniscono rassicuranti (o minacciose) certezze e ci dicono che ad esempio in una crescita lineare ad ogni intervallo di tempo corrisponde sempre la stessa quantità (ad es. domani lo stesso numero di contagiati di oggi), mentre in una crescita esponenziale la dimensione dello stock si moltiplica per lo stesso fattore negli stessi intervalli di tempo (ad esempio la potenza di 2, per cui da 2 casi odierni di malattia, se ne hanno 4 domani, 8 dopodomani, e con ogni giorno che passa 16, 32, 64, 128, 256, 512, 1024). È sotto gli occhi di tutti che, anche se per fortuna non con un tale fattore, i numeri dei contagiati dal Covid-19 e soprattutto dei ricoverati in terapia intensiva si moltiplicano oggi ad un ritmo esponenziale come in primavera. Ragion per cui, come scriveva qualche giorno fa sul Corriere, Paolo Giordano  “va sempre peggio. Non solo, il peggio di oggi sarà peggiore del peggio di ieri, e il peggio di domani sarà peggiore di quello di oggi”. Alla domanda sul ritorno del già visto, l’economia risponderebbe probabilmente in modo molto più variabile, distinguendo – come consigliava di fare S. Tommaso nelle dispute – spesso. Le variabili dell’economia sono d’altro canto molto più numerose e la variabile meno prevedibile, pur in condizioni esterne uguali, siamo noi umani. È poi fin troppo facile osservare che mentre i contagi e i casi di malattia crescono, le risorse finanziarie tendono a calare. La politica ci da la sensazione che tutto, a partire dagli errori, dalle imprecazioni e dai ritardi, si ripeta uguale a sé stesso: i posti letto in terapia intensiva sono stati aumentati di soli ca. 1500 anziché i 3000 e più previsto, il personale medico e infermieristico è lo stesso e per di più stanco, il tracciamento è saltato e solo in data 24 ottobre 2020 (Sic!) la protezione civile indice bandi per l’assunzione di  “1500 unità di personale medico e sanitario e 500 addetti amministrativi a supporto delle strutture sanitarie impegnate nella gestione del contact tracing“   La virologia ci ricorda quanto già sappiamo, il virus continua per nostra sfortuna ad esserci, non è significativamente mutato e i metodi per controllare e prevenire il contagio, in attesa del vaccino, rimangono sostanzialmente quelli della primavera. Poi, si, sa la scienza è fatta dagli uomini, e i virologi, come pure i medici, sono come gli orologi (analogici), non ce n’è uno che segni la stessa ora. Dalla psicologia e dalla psichiatria siamo avvezzi a non aspettarci niente di certo (per non dir di buono). Che poi sian scienze, si sa, è, per molti, tutto da dimostrare e tra i molti ci devono essere anche i nostri amabili governanti (cts incluso) le cui esternazioni sono il miglior esempio di comunicare non psicologica, anzi anti-psicologica, in una situazione di crisi. Eppure… Eppure credo che molti di noi intuitivamente si riconoscano nel grafico qui rappresentato, che dobbiamo proprio alla psicologia delle catastrofi e riassume l’andamento psicologico successivo alla catastrofe
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credit Psychiatric Time
Dopo una fase di idealizzazione (ricordiamo le iniziali manifestazioni di riconoscenza a medici e infermieri, considerati allora eroi) e quasi di entusiasmo dovuto alla coesione sociale (i canti dai balconi, i cartelli di “andrà tutto bene”) arriva l’inevitabile disillusione: i camion con le bare, i morti seppelliti senza funerale, la scoperta degli errori, delle inadempienze, dell’impreparazione, la perdita della sicurezza fisica, psichica, finanziaria, della normalità, della coesione sociale. Il percorso che dalla disillusione porta alla ricostruzione può passare solo attraverso il lavoro di lutto (il mio chiodo fisso, con le fasi sella negazione, rabbia, patteggiamento, afflizione, accettazione). Se durante questo faticoso e doloroso lavoro di accettazione della perdita e di congedo dalla (presunta) normalità pre-esistente, intervengono nuovi fattori traumatici (la seconda ondata di contagi e di insicurezza economica ad es.) il lutto viene messo a dura prova e il rischio di una ri-traumatizzazione diviene concreto. Eppure i dati che vengono dall’analisi di altre catastrofi sono per certi versi rassicuranti. Innanzitutto gli ultimi studi dimostrano che la maggioranza delle persone sono dotate di buona resilienza anche di fronte ai traumi più estremi. Nelle fasi immediatamente successive alla catastrofe poi la maggioranza dei sintomi di disagio mentale sono reazioni di stress a eventi obiettivamente intensi e travolgenti. Tali reazioni vanno considerate come normali tentativi di adattamento senza patologizzarle stigmatizzarle. È invece importante individuare le persone più a rischio (individui che già soffrono di disturbi psichici, che sono ai margini sociali e finanziari della società), promuovere strategie di gestione delle difficoltà (emozionali) e di adattamento alla nuova realtà così come di resilienza. Per certi versi nelle prime fasi acute successive al disastro l’assistenza psicologica si identifica quasi con l’assistenza pratica nel senso che è dall’efficacia di quest’ultima che nasce la speranza per combattere la sfiducia che è, paradossalmente, il male peggiore della catastrofe. È dall’efficacia e dall’empatia che sperimento durante la fase del contact tracing e poi del ricovero in Ospedale ad es. per i disturbi respiratori che posso sviluppare o meno un rapporto di fiducia con il personale medico-infermieristico e in definiva con la parte più sofferente e bisognosa di me, tale da mantenere la speranza e il desiderio di tornare fisicamente e psicologicamente a vivere.
Gli studi hanno dimostrato inoltre che a lunga distanza di tempo dal disastro, ad esempio dopo due anni dall’insorgere della SARS, si sono sì osservati comportamenti alterati (aumento del consumo di alcol e sigarette, maggiore assenteismo, minor contatto visivo faccia a faccia con i pazienti) nel personale medico-infermieristico che aveva curato i pazienti. Tuttavia le percentuali di disturbi psichiatrici veri e propri quali depressione, disturbo post-traumatico da stress e altri non erano significativamente aumentate, il ché è coerente con ricerche che dimostrano che gli effetti psicologici a lungo termine di disastri si trovano piuttosto nell’ambito di sindromi sub cliniche di stress ma non di disturbi psichiatrici veri e propri. Mentre per i gruppi a rischio i pericoli di patologie psichiatriche sono decisamente più gravi 
Ora, mentre le cifre dei contagi e dei ricoverati in terapia intensiva si avvicinano minacciosamente a quelle della scorsa primavera, non siamo (psicologicamente) più gli stessi di allora, abbiamo alle nostre spalle eroismo e idealizzazione e ci troviamo in una fase di disillusione (e dunque di rabbia, disperazione, rassegnazione)  acuita dai nuovi pericoli sanitari e finanziari. Abbiamo dentro di noi un potenziale di resilienza che dev’essere però sollecitato, favorito, curato, individualmente e collettivamente. Temo che dall’attuale classe politica non ci possiamo realisticamente aspettare gli esempi di leadership, comunicazione, educazione e supporto sociale che pur sarebbero necessari.  Guardare dentro di noi – non negli altri -, capire in che fase personalmente ci troviamo, passare oltre le polemiche, non accettare né favorire forme violente di protesta, utilizzare produttivamente e creativamente la rabbia, dare supporto a chi ha più bisogno, comunicare in modo corretto e trasparente sono modalità che ciascuno di noi può sviluppare per superare la disillusione, accettare la perdita, dare un nuovo significato ai gesti di sempre.
Immagine: tratta da @gelatocolorato