Cos‘hanno in comune l’idea di Padre Livio del Covid come di un complotto cibernetico-sanitario ad opera di Satana, quella del filosofo Agamben di un presunto stato di eccezione come paradigma normale di governo e le tesi dei negazionisti del Covid? Ben poco dal punto di vista dei contenuti, ancor meno quanto a livello intellettuale e culturale. Eppure è indubbio che la struttura a cui persone così diverse fanno riferimento è quella molto semplicistica del complotto. Uno o più individui, gruppi, stati, sfruttano i loro poteri, umani o divini che siano, a danno di una maggioranza di uomini e donne buoni o comunque inermi per conquistare ancora più potere sottraendolo con l‘inganno ai buoni/inermi. Analoga è anche la dinamica psicologica che dai pur diversi complotti scaturisce: il fine del complotto è ridurre in schiavitù i cittadini inermi. Grazie però al disvelamento del complotto ad opera di sagaci ingegni è possibile sventarlo e salvare così l’umanità. Accanto dunque alla perfidia dei malvagi, all’ingenuità – per non dire altro – dei buoni, lo schema prevede anche la genialità degli scopritori del complotto. (E qui, passi per Agamben ma Padre Livio e i negazionisti non hanno proprio il physique du rôle). Congiungendo questi elementi come nella morfologia delle fiabe di Propp, si realizza un senso che non vale solo per l’individuo e la sua singolare esperienza ma ha pretese di obiettività, è da tutti condivisibile e contribuisce anzi a fondare un’identità collettiva (i negazionisti, gli ultra-cattolici, i democratici che combattono contro lo stato d’emergenza, la dittatura sanitaria etc) Un altro elemento accomuna però queste e altre narrative complottiste, tipo le migrazioni finanziate da Soros o Bill Gate, il piano delle Élite: la negazione del dolore e dunque del lutto. Può a prima vista sembrare inverosimile. Il dolore anzi la catastrofe compare sempre nelle narrazioni complottistiche ma viene solo paventata, minacciata. Grazie al magico disvelamento del piano malvagio viene però sventata cosicché il risultato ultimo è il ritorno a o l’acquisizione di una condizione di armonia e benessere. Grazie alla conoscenza derivante non da una ricerca comune ma da una singola mente illuminata (si fa per dire) è risparmiata a tutti la sofferenza. La perdita e il dolore vengono scongiurati. Il processo del lutto necessario per accettare la perdita e tornare faticosamente a vivere non è dato nelle narrative complottiste. Il dolore, la sofferenza la malattia, le morti, vengono disconosciute, negate o meglio rimosse mentre tutta l’attenzione viene spostata sul complotto, sui suoi autori e sul suo disvelamento.
Nella vita quotidiana di ognuno di noi però i morti, gli ammalati, i disoccupati da Covid ci sono. I loro familiari faticano a superare il lutto, i malati a riprendersi, i disoccupati a trovare un lavoro, l’economia a risollevarsi nonostante tutte le promesse e le speranze. Nel quotidiano ciascuno di noi sperimenta quanto sia difficile aver perso la normalità della vita precedente e non averne ancora trovato una nuova, vivere nell’incertezza, proteggersi dal contagio senza privarsi degli affetti, usare prudenza senza perdere la voglia di vivere. Per non parlare di chi ha perso un familiare, un amico, un collega, di chi ha attraversato la malattia, di chi ne porta ancora le conseguenze, di chi ha perso la sicurezza economica o addirittura la speranza stessa di ritrovarla.
Nella vita quotidiana non abbiamo a disposizione menti geniali che svelano complotti malvagi e ci disvelano meravigliosi orizzonti. Possiamo solo contare sul processo del lutto per superare dolorosamente la sofferenza della perdita, recuperare i nostri affetti e faticosamente ricominciare a vivere. Solo dopo aver attraversato le fasi del lutto, la negazione, la rabbia, la contrattazione, la ferocia del dolore ed essere approdati all’accettazione della perdita, ci sembra (talvolta) di intravedere il significato dell’esperienza dolorosa patita. Tale senso non è contenuto nell’avvenimento stesso ma scaturisce, può scaturire invece dai vissuti che quell’avvenimento suscita in noi illuminandolo di senso. Un senso dunque puramente soggettivo e personale che ciascuno di noi individua, per certi versi crea, nel confronto con il dolore giungendo a una nuova presa di coscienza (l’anagnorisis aristotelica, tradotta da Floridi in inglese con Realisation) che trasforma la nostra passata esperienza e il nostro stesso atteggiamento verso la vita aiutandoci a viverla in modo più consapevole. Nella narrativa del complotto la trasformazione è invece sempre magica (Wurmser), sia quella temuta (il mago cattivo che ci trasforma tutti in Zombie) sia quella sventata grazie appunto alla magia di menti illuminate. Nell’esperienza quotidiana realizziamo invece una trasformazione tragica (Wurmser) nel senso che essa scaturisce faticosamente dal confronto con e dall’accettazione realistica della perdita e del dolore. Non si tratta di glorificare il dolore, come troppo spesso ci hanno insegnato a fare in passato, ma di accettare con intelligente realismo critico l’inevitabile parte di dolore di cui la vita è costituita per meglio apprezzarne la delicata e meravigliosa fragilità.
immagine tratta da @IrenaBuzarewicz